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nuovi emendamenti

Lega contro Nimby. Le leggi per governare le contestazioni ci sono: aggravare le pene non serve

Jacopo Giliberto

Approvato un emendamento che prevede l’aggravante di un terzo della pena per violenza contro pubblico ufficiale al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura strategica. Ma le leggi, benché inapplicate, già ci sono

La solita voglia di vietare, costringere, controllare, impedire. Le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera hanno approvato un emendamento al disegno di legge Sicurezza che prevede un’aggravante per cui “se la violenza o minaccia” a un pubblico ufficiale “è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura strategica la pena è aumentata”. L’emendamento è stato presentato dalla Lega. E’ stato subito soprannominato “emendamento no-ponte”, perché l’obiettivo dell’aggravante sono i comitati Nimby e i contestatori che si oppongono alla costruzione di grandi infrastrutture, come è il caso del progetto del ponte di Messina.

  

Solamente il tempo dirà se saranno realizzate le due ipotesi, cioè se l’emendamento riuscirà a diventare legge dello stato e se il ponte di Messina riuscirà a superare la fase della teoria applicata. La proposta è stata sottoscritta da tutti i gruppi di maggioranza ed è passata con una riformulazione che in parte ne mitiga gli effetti. Nella versione iniziale, il testo prevedeva che la pena fosse aumentata fino a due terzi. Nella versione riformulata si prevede l’aumento fino a un terzo, che può essere bilanciato dalle circostanze attenuanti. Le opposizioni hanno contestato l’emendamento. Dopo decenni, solamente di recente in Italia ma anche nel resto d’Europa le autorità si sono trovate a fronteggiare contestazioni diffuse. I sostenitori di Hamas sventolano bandiere nelle manifestazioni di tema anche contrario al loro; altri si incollano sull’asfalto per fermare il clima che cambia; altri ancora imbrattano i quadri nei musei per ridurre i consumi di petrolio. La risposta è un luogo comune ormai liso ma sempreverde: “Le leggi ci sono, basterebbe usarle”. Per governare le nuove contestazioni, le leggi già disponibili sono state ripescate dopo anni di dimenticanza e polvere sul fondo dei cassetti della questura, come le norme antiterrorismo, le leggi sulla sicurezza nazionale e le leggi contro la criminalità organizzata.

  

In altri casi, vengono inventate sanzioni nuove, come è avvenuto in gennaio con la nuova legge 6/2024 contro gli “ecovandali” che inasprisce le pene per chi a colpi di vernice lavabile danneggia e deturpa beni culturali o paesaggistici. Un altro strumento adottato di recente è l’assegnazione del daspo urbano, applicato in alcuni casi in Valsusa contro contestatori no Tav più vivaci o in Sicilia contro i no Muos. Un altro strumento cui si avvalgono di recente i questori è il mancato preavviso della manifestazione. L’articolo 17 della Costituzione è chiarissimo nello stile pulito e senza ambiguità con cui scrivevano i Padri Costituenti: i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi; per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso; delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Questo dice, con chiarezza sublime, la Costituzione. Però l’articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps), normativa del 1931 rimasta in italico fascistissimo vigore, punisce con ammenda e arresto chi non notifica il preavviso e irroga la detenzione fino a un anno per la manifestazione vietata dalle autorità. 

 
Raro il ricorso a soluzioni alternative alla repressione. Lo strumento perfetto e ideale, la condivisione con i cittadini e il débat publique, ha ancora poche applicazioni in Italia. L’anno scorso l’esperimento interessantissimo di compartecipazione con i cittadini avviato dall’Agsm di Verona per costruire una centrale eolica nel Mugello fra Dicomano e San Godenzo (Firenze) non ha impedito la formazione dei comitati Nimby di protesta. Dopo anni di ricorsi al Tar e al Consiglio di stato, appelli del no firmati da architetti e professori di liceo, proteste di cittadini, solamente pochi mesi fa l’Agsm di Verona è riuscita ad ottenere il via libera per costruire l’impianto.

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