Il caso

La destra a Venezia, l'eccezione Biennale di Buttafuoco. Inattaccabile per Rep. C'è vita oltre Petrecca

Carmelo Caruso

Nomine indiscutibile come Ratti, Barbera e Dafoe, le lodi di Dario Franceschini: "E' un presidente di livello". Al momento l'unica scelta vincente di Meloni è quella della Biennale

Presidente Meloni, un invito: prenda per mano la piccola Ginevra, salga sul primo treno (non lo dica a Lollobrigida) e vada a Venezia. Vada alla Biennale, a trovare il suo amico, il presidente Pietrangelo Buttafuoco. Scoprirà che esiste la destra che non la fa arrossire, che non raglia alla luna. Scoprirà che tra amichetti di sinistra e somari di destra, imbecilli e mascalzoni, è possibile scegliere gli innamorati del loro mestiere.


Cara Meloni, senta cosa dice Dario Franceschini, l’ex ministro della Cultura, il Grande del Pd, il principe ereditario di Sergio Mattarella, di questa nomina, senta cosa dice quando gli si chiede un giudizio sui primi mesi, sulle decisioni prese alla Biennale: “Penso che Buttafuoco sia un presidente di livello”. Buttafuoco si è insediato il 20 marzo 2024 e vive adesso a Venezia, la città dei curabili, la città dove i somari d’Italia andrebbero accompagnati. Da presidente della Fondazione, Buttafuoco ha scelto tre figure. Alla direzione artistica del Festival del Cinema ha confermato Alberto Barbera, per il settore Architettura ha indicato Carlo Ratti, docente al Massachusetts Institute of Technology e al Politecnico di Milano, mentre per la direzione artistica Teatro, sorprendendo, ha incaricato Willem Dafoe, regista attore e “dottore”. Dafoe è “God”, il papà chirurgo, di Bella Baxter, la straordinaria Emma Stone, in Povere Creature, il film del regista greco Yorgos Lanthimos, ed è sposato con l’italiana Giada Colagrande. Perfino Roberto D’Agostino con il suo Dagospia, il brigantino Italia, la nave veloce che da due anni e mezzo insegue con le notizie il governo Meloni, chiama Dafoe “l’italiano vero!”, mentre Francesco Merlo, su Repubblica, nella sua posta corsara, che D’Agostino rilancia, ha parlato delle “belle scelte di Buttafuoco”. Cos’è? E’ forse una congiura dei nemici o sono, come si cerca di spiegare, gli amici i veri nemici di Meloni? Al Corriere della Sera, ad Aldo Cazzullo, Dafoe ha rilasciato un’intervista che era un esempio di pulizia, che non aveva nulla di servile. E di Ratti e Barbera tutto si può dire tranne che sono unfit, inadatti, o che hanno meritato quelle cariche perché leggevano i romanzi di Franceschini e ora le biografie di Sangiuliano. Ratti non fischietta “Bella Ciao” o “Giovinezza” e Barbera l’unico Otto e mezzo che vede è quello di Fellini, ma non su La7. Tutto il mondo conosce Dafoe perché Dafoe non è Federico Mollicone, il Sangiuliano minore, il pavone di FdI, il presidente della Commissione Cultura, che alla Camera fa l’impresario di artisti, presenta opere d’arte e cataloghi come fosse Baffo da Crema (ieri ancora una sua presentazione e il guaio è che occupa la saletta della Camera). Vede, presidente? Non è vero che per aggredire la sinistra dell’amichettismo servono i somari e i presuntuosi, come il suo Paolo Petrecca, il direttore Rai News che il Tribunale ha appena condannato per comportamento antisindacale, per aver impedito la lettura di un comunicato dei dipendenti in sciopero. Un direttore intelligente non solo lo avrebbe letto ma avrebbe condotto usando la stessa lingua oscura, e infine sorriso: “Perdonatemi, è ChatUsigrai”. Meloni cosa se ne fa di questi culturisti come i Paolo Corsini, il direttore Approfondimento Rai, o i Petrecca? Dopo aver minacciato la redazione, “io vi denuncio per calunnia”, Petrecca si è rivolto ai suoi giornalisti da bulletto sbullonato, proponendo: “Se togliete una frasetta dal comunicato, io ritiro l’esposto all’ordine”. E se proprio dobbiamo dirlo, e bisogna dirlo, ancora peggio dei culturisti sono i wagneriani della destra. A costo di farsi togliere il saluto, bisogna dire che non è il Maxxi(mo) infarcire il Museo Nazionale delle arti, a Roma, il museo liberato dall’egemonia Melandri, con Alma Manera, la compagna di Petrecca. Manera è consulente artistico, lo ha illuminato ancora Dagospia, e nel cda del Museo è stata nominata Raffaella Docimo, candidata da FdI alle europee. A che serve rilasciare interviste da  intellettuali  a Repubblica o al Corriere e poi chiamare a coorte questa destra  che manco al Bagaglino? Non solo questi colti (sul fatto) vogliono comandare, e male, ma non rinunciano alla sagra del cardoncello, pretendono spazi sui giornali, non perdono una cena romana. Cercano tartine e paparazzi a cui lascerebbero pure la mancia, per uno scatto. Al momento l’unica eccezione è Venezia, la Biennale, tanto che  Massimo Cacciari, il filosofo dall’opinione pronta, si limita:  “Su Venezia e la Biennale non ho nulla da dire”. E’ buon segno. Un editore, una Croce e delizia di editore, risponde che “su Buttafuoco non posso che pensare quello che pensa il Foglio”. Meloni vada a trovarlo e gli proponga il padiglione delle povere creature di destra. Esponiamoli con sotto questa didascalia: “Uno sciocco che tace è la creatura più adorabile del mondo”. Il vantaggio è doppio: dalle critiche alla critica. Oggi la vita è a Venezia e la morte (della destra) a Roma.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio