Ferdinando Nelli Feroci (Ansa)

L'intervista

"Meloni sostenga von der Leyen. Può ottenere un commissario di peso". Parla l'ambasciatore Nelli Feroci

Ruggiero Montenegro

"Votare Ursula vorrebbe dire per l’Italia partecipare sin da subito, con un ruolo centrale, al governo dell’Europa. La premier è di fronte a un bivio: scelga se vuole essere la leader di un partito o se lavorare per l'interesse del nostro paese", dice il presidente dell'Istituto affari internazionali

“I dubbi della premier Giorgia Meloni in questa fase sono legittimi, li capisco bene. Ma scegliere di sostenere Ursula von der Leyen vorrebbe dire per l’Italia partecipare sin da subito, con un ruolo centrale, al governo dell’Europa. E quindi incidere in maniera significativa sulla scelta degli obiettivi, sui ruoli e sulle politiche attraverso cui si vogliono raggiungere. Non sta certo a me certo decidere, e la presidente del Consiglio saprà bene cosa fare, ma io suggerirei questa strada”, dice al Foglio Ferdinando Nelli Feroci. Nella sua lunga carriera è stato ambasciatore, diplomatico per oltre 40 anni, oggi presiede l’Istituto affari internazionali (Iai). La politica europea e i suoi meccanismi insomma li conosce bene. Presidente, cosa dobbiamo aspettarci dalla plenaria del 18 luglio? “E’ un passaggio certamente delicato, importantissimo. Il sostegno a von der Leyen  sarebbe la condizione per ottenere un commissario con un portafoglio di peso. Adesso Meloni è di fronte a un bivio”. 


Presidente, di quale bivio parla? “Meloni può decidere di comportarsi da leader di partito, della destra italiana e di quella europea, oppure lavorare principalmente per affermare l’interesse del nostro paese. In questo secondo caso darebbe inoltre continuità a quanto fatto fino a oggi anche in Europa”, risponde Nelli Feroci, che è stato rappresentante permanente d’Italia presso l’Ue tra il 2008 e il 2013. 

Al Consiglio europeo del 28 giugno tuttavia la premier ha votato contro le nomine del socialista Antonio Costa e della liberale Kaja Kallas (rispettivamente indicati come presidente del Consiglio europeo e Alto rappresentante per la politica estera Ue). Si è astenuta sul nome di von der Leyen, anche a costo di apparire isolata da paesi come Francia e Germania.  Una scelta che, seppur ininfluente, lei stesso ha definito “senza precedenti” per l’Italia. Come se ne esce? “L’atteggiamento di Meloni rappresentava soprattutto un gesto di protesta per il metodo con cui si è arrivati alle nomine, frutto delle decisioni delle tre principali famiglie europee: popolari, socialisti e liberali. E’ stata inoltre una scelta che forse, almeno in parte, riflette il desiderio di mantenere una posizione di equilibrio rispetto agli alleati di governo: Forza Italia a favore e la Lega fermamente contraria. L’astensione su Ursula però ci dice anche un’altra cosa”.

Quale? “Dimostra che la porta a von der Leyen non è mai stata chiusa”. Eppure da Palazzo Chigi non è arrivata ancora alcuna indicazione chiara.  “Intanto credo che Meloni faccia bene a non anticipare quale sarà la sua scelta. Anche alla luce del sostegno annunciato dai Verdi a von der Leyen, i 24 voti degli eurodeputati di FdI potrebbero non essere così decisivi dal punto di vista numerico. Sostenere questa presidente della Commissione ha insomma un significato più ampio, politico”. Una netta scelta di campo, dalla quale per Meloni non sarebbe facile smarcarsi in futuro. E’ forse per questo che la leader di FdI non ha sciolto le riserve? “I dubbi, come dicevo all’inizio, sono comprensibili. Perché schierarsi con Ursula aprirebbe un fronte interno con la Lega, sebbene – aggiunge l’ambasciatore – non credo sia questa la principale preoccupazione per la presidente”. E poi c’è un risvolto che va ben oltre i confini italiani. “Una questione che riguarda i partiti che compongono la galassia della destra europea, molto frammentata”.

Meloni deve decidere da che parte stare. “La premier ha mostrato una ferma posizione atlantista, soprattutto sulla guerra in Ucraina, mentre i Patrioti, nelle loro varie articolazioni, sono ben più attenti alle sirene di Vladimir Putin. In questo quadro stare dalla parte di von der Leyen, in maniera più o meno esplicita, sarebbe l’ulteriore conferma di una collocazione internazionale che Meloni ha già sostanzialmente scelto. Con in più il vantaggio di poter  trattare con maggiore forza in Europa, ottenere quindi risultati concreti e al contempo legittimarsi forse definitivamente come la guida della destra atlantista”. A proposito di atlantismo, le notizie che arrivano dagli Stati Uniti quanto possono incidere sull’Europa e sul prossimo voto dell’Europarlamento? “L’attentato in Pennsylvania rafforza sicuramente Donald Trump, sempre più probabile vincitore delle elezioni americane di novembre. Questo – prosegue il presidente dell’Istituto affari internazionali –  avrà certamente ricadute sull’Europa, soprattutto sotto il profilo della sicurezza e della difesa. Su questi temi l’Ue sarà chiamata ad assumersi nuove e maggiori responsabilità”.

E’ una necessità di cui spesso la presidente della Commissione ha parlato negli ultimi mesi e che la premier italiana pare condividere. Anche questo suggerisce che alla fine la continuità convenga pure all’Italia? “Certo, ma c’è ancora un altro tema. Con von der Leyen, Meloni ha avuto un rapporto di proficua collaborazione, oltre che di amicizia. La presidente della Commissione si è spesa su temi cari al nostro governo, a cominciare dalle migrazioni. Anche per questo sarebbe clamoroso se adesso Meloni si mettesse di traverso. Senza dimenticare la questione dei commissari europei”. Forse la vera partita.

Quale commissario dovrebbe chiedere il nostro governo? “Quello all’Industria e alla Competitività sarebbe molto pesante. Più difficile ci venga assegnata la Concorrenza, visti i nostri problemi su questa materia”, dice Nelli Feroci. Su quale punterebbe l’ambasciatore? “Il commissario alla Difesa potrebbe diventare molto importante, anche al di là delle risorse a disposizione. Avrebbe una funzione di coordinamento tra le nazioni su una questione assolutamente centrale. Al contrario – conclude il presidente dello Iai – i commissari alla Coesione o all’Agricoltura, pur potendo disporre di risorse importanti, sono dal mio punto vista più marginali rispetto alle grandi sfide della prossima Ue”.