Il caso

Il ballo tra Ursula e Meloni. E i dubbi tecnici della premier sull'astensione: meglio essere netti

Simone Canettieri

Si scambiano messaggi, ma manca la telefonata che sancisca l'eventuale patto. Si annusano senza darlo a vedere. Von der Leyen: "Nessuna collaborazione organica con Ecr".  Oggi il sì di FdI a Metsola

Gira tutto intorno alla stanza. Balla la telefonata  di Ursula von der Leyen con Giorgia Meloni (anche se ieri si sono scambiate dei messaggi). Ballano soprattutto i voti che Fratelli d’Italia giovedì prossimo potrebbe dare o non dare, in chiaro o nel segreto dell’urna, alla presidente della Commissione uscente che vuole succedere a se stessa. Sì o no. L’astensione che, all’Eurocamera equivale a un voto contrario, diventa una maschera difficile da calare: una cosa sarebbe per i patrioti italiani mischiarsi e sostituirsi con i franchi tiratori del Ppe o del Pse che non vogliono Ursula, un’altra annunciare un’astensione che tale poi non sarebbe andando a cercare alla fine i 24 voti degli eurodeputati meloniani. Balla soprattutto, alla fine di una decisione che arriverà in extremis, l’idea di Meloni di esprimersi con una bella dichiarazione: “Ho deciso che FdI voterà così”. Perché, a seconda del responso, avrebbe a che fare con il vecchio popolare Tajani e con il neo patriota Salvini.   

 

In queste ore c’è un’ala di Fratelli d’Italia, a Roma, che è per il sì a Ursula in cambio certo di un commissario di peso, magari di una vicepresidenza operativa, e a fronte di un discorso programmatico di von der Leyen che vada molto incontro alle istanze italiane. A partire dalla gestione dei migranti e dell’esperimento albanese, per dire. E’ la parte più laica e pragmatica del partito, posto che la vecchia guardia si accoderebbe senza problemi. E quasi inutile sottolineare che sarebbero a favore di un’intesa in Aula pezzi importanti dello stato, dal Quirinale alla Ragioneria dello stato. In più, a favore di questo ragionamento c’è la posizione degli altri partiti che fanno parte di Ecr, e cioè i Conservatori presieduti da Meloni. Le delegazioni governative, come quella belga-fiamminga e la ceca, potrebbe virare per il sì. Idem i lettoni. Al contrario dei polacchi del Pis, dei romeni e dei francesi, per dire. 

 

E’ un incastro complicato in cui anche von der Leyen non può esporsi più di tanto, per non perdersi i Verdi per strada e soprattutto i Socialisti. Non a caso ieri incontrando la delegazione del M5s ha detto e ripetuto: “Non ci non ci sarà una cooperazione strutturale con il gruppo Ecr”.  Si balla dunque intorno alla stanza di Ursula. Perché questa mattina la presidente uscente della Commissione vedrà proprio gli eletti di Ecr alle 9, prima del voto per l’elezione della presidente dell’europarlamento Roberto Metsola. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti ha candidato l’eurodeputata di FdI Antonella Sberna, rivelazione delle elezioni di giugno, e l’eurodeputato del Pis Roberts Zile alla vice presidenza dell’Eurocamera. Il responso sulle vicepresidenze si avrà sempre oggi dopo che la plenaria si sarà espressa sulla presidenza. 

 

Metsola dovrebbe essere votata da tutte, o quasi, le delegazioni italiane. Ma sui 12 vice il Pd proverà a tirare brutti scherzi ai Conservatori. I quali, come detto, subito dopo la colazione vedranno Ursula. E la incalzeranno sul programma, ma anche e soprattutto sul discorso che terrà giovedì. Dicono che Meloni deciderà all’ultimo cosa fare e come farlo. Giusto per ribadire il concetto: l’annuncio della posizione italiana rientra nella strategia, è un parte delle trattative con Bruxelles. Parole con il contagiri.  L’ipotesi dell’astensione ieri sera perdeva quotazioni. O sì o no. E’ più facile, per paradosso, da gestire e sostenere per la premier. Con due narrazioni opposte da raccontare in Italia e soprattutto all’interno della coalizione di centrodestra, conoscendo bene la rapidità di Matteo Salvini a infilarsi in una zona d’ombra. Da oggi mancano 48 ore alla decisione che sembrano 48 giorni, tante sono le variabili che si affastellano una sopra l’altra. La confidenza fra le due leader e nota. Anche se, raccontano fonti del governo, da giorni non si sentono. E forse lo faranno, diffondendolo, proprio a ridosso di giovedì quando la trattativa avrà preso una piega chiara, in un verso o nell’altro. 

 

E’ chiaro che per Meloni votare sì in cambio di un “bottino” prezioso per l’Italia in termini di posizione e portafoglio avrebbe un costo, ma un senso. Al contrario dire no a un accordo che ritiene al ribasso sarebbe più facile da sostenere dal punto di vista della propaganda. E comunque è chiaro come le due si annusino in maniera costante, senza darlo a vedere, cercando conforto solo nel buio, nel segreto dell’urna. Anche se prima va capito il do ut des.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.