(foto Ansa)

l'intervista

Calenda: “I giudici non possono far dimettere Toti. Non vado in piazza con Elly”

Luca Roberto

Il leader di Azione: "E' incivile che si metta in relazione una misura cautelare con le dimissioni da governatore. I partiti non capiscono che col giustizialismo si autodistruggono. La manifestazione di Genova? Mi tiro fuori dalle piazze forcaiole"

Trovo incivile che, come sta succedendo nei confronti del presidente della Liguria Giovanni Toti, si metta in relazione la concessione di una misura cautelare con le dimissioni da governatore. Evidenzia una gestione da paese del terzo mondo, totalmente contraria a uno stato di diritto. Perché non è normale che un giudice decida di tenerti ai domiciliari o meno sulla base del tuo colore politico”. Carlo Calenda la spiega così la decisione di non partecipare alla manifestazione organizzata dalle opposizioni a Genova, domani, per chiedere le dimissioni del governatore ligure. Il quale, dopo il via libera del gip, potrà adesso incontrare Matteo Salvini. A Genova sfileranno tutti gli esponenti del cosiddetto “campo largo”, dalla segretaria del Pd Elly Schlein al presidente del M5s Giuseppe Conte. Perché lei no? “Noi il passo indietro di Toti lo chiedevamo ben prima dell’indagine, e per una ragione esclusivamente politica, visto che il nostro giudizio sul suo operato è assolutamente negativo. Ma mischiare in questo modo i piani, quello politico e quello giudiziario, come stanno facendo a destra e a sinistra, non fa bene a nessuno. Io mi tiro fuori da queste piazze forcaiole”, dice il leader di Azione al Foglio. 

 

La discussione, secondo il senatore, dovrebbe in realtà vertere su tutt’altro. “Il tema delle indagini è ininfluente tranne che per un punto: fa emergere un sistema malato. Se andate a vedere le campagne elettorali di ogni governatore troverete finanziamenti di cooperative e aziende direttamente coinvolte nell’attività politica delle diverse giunte. Ecco, io credo che questo debba essere vietato. Perché oltre al garantismo dobbiamo avere anche una certa etica nei comportamenti pubblici. Sono due cose diverse che devono andare insieme”. Per questo, aggiunge l’ex ministro dello Sviluppo economico, “abbiamo presentato un disegno di legge che vada a colmare  questo buco normativo. E però su questo la sinistra sembra distratta: forse perché anche loro da questo sistema di finanziamenti hanno tratto beneficio. Io invece finanziamenti come quelli di un fondo di investimenti operante negli aeroporti li ho rifiutati”. Ma nel caso più specifico delle indagini a carico di Toti, sostiene ancora Calenda, “con le regole attuali non credo nemmeno che le accuse contro il presidente della Liguria reggeranno. Dimostrare che ci sia stata una qualche forma di corruzione quando il finanziamento è lecito sarà difficilissimo”.

 

Eppure, più che discutere sulla revisione delle regole, tanto i partiti di maggioranza quanto quelli di opposizione preferiscono trasformare le diverse inchieste, da Bari a Genova fino a Venezia, in un tritacarne in cui inserire l’avversario di turno. “E’ sempre la stessa dinamica, ma i partiti non capiscono che così si autodistruggono”, analizza Calenda. “In Azione abbiamo l’esempio di Marcello Pittella, ex presidente della Basilicata che era agli arresti domiciliari e chi è si è dovuto dimettere, salvo poi essere completamente riabilitato. Io trovo incivile che si metta in relazione una misura cautelare con le dimissioni da governatore. Ma lo capite o no che è un vulnus enorme nel funzionamento dello stato di diritto?”.

 

Forse che la questione giudiziaria è emblematica di un campo largo che, soprattutto sulla giustizia, non è destinato a stare insieme a causa di sensibilità inconciliabili? “Un conto è il livello locale, e lì le intese è possibile costruirle sulla base delle cose da fare, dei programmi in comune. Un altro è il livello nazionale”, dice Calenda. “Il campo largo per quel che mi riguarda non esiste perché ha contraddizioni ancora prima della giustizia: per esempio sulle armi all’Ucraina, ma anche sul posizionamento internazionale dell’Italia. Dire ‘che schifo Meloni’ non è una posizione di governo”. E secondo l’esponente centrista non riuscire a costruire una vera alternativa alla destra rischia di essere un pericolo per il paese. “E’ mia profonda convinzione che tutto l’occidente stia per essere travolto da una crisi, istituzionale e politica. Saremo costretti, chissà, a chiamare un ennesimo salvatore della patria. In tutto questo il campo largo non esiste perché, semplicemente, non saprebbe governare. Poi se Elly Schlein avrà il coraggio di assumere una linea definita sul posizionamento internazionale dell’Italia, sul garantismo, sulla giustizia, questo lo vedremo. E’ compito di Azione cercare di trovare soluzioni di governo condivise, ma non basta, ripeto, continuare a stare insieme uniti solo dallo slogan ‘abbasso Meloni’. E di certo non aiuta continuare ad andare in piazza ad alzare i toni”.

  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.