Lo studio
Il report sul pluralismo Rai è da orbi più che da Orbán
Presnetato come un dossier internazionale è curato dal docente candidato in Rai, che ha fatto ricorso contro il sistema di nomina e che difende Lissner (sollevato dall'incarico) per far posto all'ex ad Rai, Fuortes
Il pluralismo lo staremo per perdere, ma la testa è persa per sempre. Un report da bar, da chiringuito, un report sulla nostra informazione pubblica, “Monitoraggio del pluralismo dell’informazione dell’era digitale”, viene definito internazionale. E’ a firma di quattro professori italiani, lo presenta e lo divulga una presidente di garanzia, di Vigilanza Rai, che è del M5s, il partito che si è spartito le poltrone con la destra, la stessa destra che per il report minaccia il pluralismo. Chi confeziona il report? Uno dei quattro è un validissimo docente, Giulio Vigevani, che però è candidato a far parte del cda Rai. Non solo. Vigevani ha fatto ricorso contro il sistema di nomina Rai, difende un sovrintendente cacciato per fare posto all’ex ad Rai, Fuortes. Non è tv. E’ molto altro. Racconta la temperatura Italia. Si può scrivere che l’autorevolezza della tv pubblica diminuisce ma è imparziale se a scriverlo è chi insegue la Rai con i ricorsi? Qui la deriva non è più orbaniana, ma da orbi.
Ci sono mille modi per raccontare il governo Meloni, il fastidio della premier verso un certo tipo di informazione, di giornalismo, ma il peggiore è prendere i report, report come questo, “Monitoraggio del pluralismo dell’informazione dell’era digitale”, e farli diventare la grande denuncia internazionale contro la Rai di Meloni, la fame di giornali degli Angelucci. Il report è stato sostenuto dalla Commissione Europea ma non basta certo per farne un report europeo, imparziale. Si possono scrivere bestialità con i soldi di olandesi, francesi, anzi, a volte se ne scrivono di peggiori copiando male quelle italiane. Nel report ce ne sono. Abbonda. Il dossier è a cura di Giulio Vigevani, Gianpietro Mazzoleni, Nicola Canzian, Marco Cecili. Il più conosciuto è senza dubbio il primo, Vigevani, docente all’università Bicocca, e non solo perché è esperto di diritto dell’informazione, ma perché ha deciso di correre per far parte del nuovo cda Rai. C’è da scommettere che farebbe benissimo se nominato ma se firma questo report fa male sia il professore che il candidato. Vigevani è l’avvocato che ha promosso il ricorso contro il sistema di nomina della governance Rai, un sistema varato con la riforma Renzi. Il Tar si dovrà pronunciare il 23 ottobre. Lo squilibrio Rai, e questo si legge nel dossier, parte con questa riforma, “un assetto legislativo che non assicura l’autonomia del servizio pubblico dal potere politico”. A parte che non è una novità, se è così, ed è così, è da anni e non da quando sono arrivati i ciuchini di Meloni in Rai. Se c’è poi un professore che poteva spiegare a Renzi che questa riforma non assicurava l’indipendenza della Rai, quel professore era proprio Vigevani, il docente raffinato che aveva sposato il referendum costituzionale di Renzi, tanto da essersi schierato per il “sì”. Cosa c’è scritto nel report? A pagina 32 viene precisato che nel 2021 questo sistema guasto ha registrato una felice eccezione dal momento che “il presidente Marinella Soldi e l’ad Carlo Fuortes non avevano evidenti appartenenze politiche”. Che Fuortes non abbia appartenenze politiche è un po’ come dire che Pino Insegno è il nuovo Piero Angela. Fuortes è un manager legato alla sinistra romana da cui ha ricevuto incarichi e ci sono ancora le foto di Fuortes a casa di Goffredo Bettini, per il suo compleanno, insieme a Giuseppe Conte. Sostenere invece che Fuortes è stato cacciato e omettere che si è dimesso perché aveva stretto un’intesa con Meloni non è da report internazionale ma da verità alternativa. Nel dossier, per dimostrare che si è consumata una violenza di stato nei confronti di Fuortes, si ricorda che il governo Meloni, “per convincere a rassegnare le dimissioni, ha offerto a Fuortes il prestigioso incarico di sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli”. Non risulta che Fuortes abbia detto “preferirei di no”. Quello che il report non dice è che Fuortes per farsi dare La Scala di Milano (non ce l’ha fatta) avrebbe disegnato la fiamma, per conto di Meloni, pure sul cavallo di Viale Mazzini. Non dice neppure che il cda aveva cominciato a votargli contro e che per fare passare i piani Rai doveva votare per se stesso. Si è dimesso e non a caso ha ricevuto il San Carlo strappandolo a Lissner, teatro che però i giudici gli hanno tolto per restituirlo a Lissner. Il resto è da opera buffa. Chi è il legale che ha difeso Lissner? E’ il bravissimo Vigevani che si sdoppia, si triplica. Nella vita difende Lissner, nel report fa passare Fuortes per uno che prega in convento, mentre nei ritagli di tempo corre per il cda Rai. L’ultimo cortocircuito, straordinario, riguarda la presidente della Commissione di Vigilanza, Barbara Floridia, che ha illustrato questo dossier e che da due giorni lo inoltra anche al suo lavasecco. Non ha preso parola per mesi eccetto ora che deve far vedere che in Rai il M5s è più incisivo del Pd. Fa sorridere pure FdI che accusa Vigevani, chiede le dimissioni di Floridia, come se FdI brillasse al di là questo report, come se FdI non avesse non tanto occupato la Rai, come hanno fatto tutti i partiti, ma peggio, occupato con mezze tacche, fatto salire gli ascolti di La7 e Mediaset. Il report è stato ripreso dai quotidiani e non è una novità e neppure una colpa. Non è una novità usare un dossier per darsi forza, ma a questo punto meglio la tesi sanguigna di un cronista, che racconta giorno per giorno, rispetto al report da chiringuito, da copia-incolla degli scienziati della domenica. Le ombre sono sempre state nere, la deriva è tutta italiana, per dire che la Rai, i suoi programmi, sono quello che sono, basta il telecomando della zia. Orbán o orbi?