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La terra dei cachi

La partita della Nazionale politici ha chiarito che l'attacco alla Costituzione è roba da Oronzo Canà

Salvatore Merlo

Da mesi le parole e gli allarmi democratici fioriscono sulle labbra dei nostri parlamentari di opposizione, e sui loro giornali. Il tasso di teatralità della nostra vita pubblica è sempre sul punto di varcare la soglia di rischio, ma poi arriva per fortuna una partita di pallone

Abbiamo sempre pensato che in Italia l’allarme antifascista fosse roba da Oronzo Canà, che insomma seguisse l’infallibile schema di Lino Banfi: il 5-5-5. Avete presente? “Cinque giocatori avanzano, cinque indietreggiano, così sembriamo quindici e gli avversari non ci capiscono niente”. E ora ne abbiamo avuto la prova definitiva. Tanto è il rischio democratico, tanto è il pericolo posto dal governo e dalle sue riforme, tanto Ignazio La Russa è “indegno” col suo busto di Mussolini nello studio, insomma è così vero che c’è “l’onda nera”, “l’ombra nera”, “la marea nera” e “la lobby nera”, è così essenziale resistere alla logica antidemocratica della destra, che martedì sera Ignazio La Russa faceva il ct della Nazionale politici, allo stadio dell’Aquila, in diretto su Raiuno, e metteva in campo Schlein e Conte, faceva giocare l’ala Renzi: tutti si abbracciavano indossando la stessa maglia azzurra, mentre il partigiano Bonelli si sdraiava in campo sudato sorridendo al gerarca Giorgetti.

     

    

Questo dovrebbe farci riflettere, un po’ come l’eroe eponimo Oronzo Canà, come la canzone di Elio e le storie tese, “il commando non ci stà e allo stadio se ne va / Sventolando il bandierone non più il sangue scorrerà”. La terra dei cachi, insomma.

Appena due settimane fa Elly Schlein ha pronunciato queste parole: “Meloni sta cancellando la libertà delle persone”. La libertà delle persone. Niente meno. E Bonelli: “Questa destra squadrista va fermata”. Ecco. Parole gettate lì con incauta spensieratezza. A riprova del fatto che la politica italiana ha la passione dei tumulti lessicali. E qui evitiamo di citare il Conte rosso, il partigiano reggiano, insomma Giuseppi. Da mesi le parole e gli allarmi democratici fioriscono sulle labbra dei nostri parlamentari di opposizione, e sui loro giornali, simili a quei raccapriccianti palloncini che fanno i ragazzi quando masticano la gomma. E poi? E poi niente. L’Italia è pur sempre il paese del melodramma e degli organetti di barberia , questa è la nostra fortuna. Il tasso di teatralità della nostra vita pubblica è sempre sul punto di varcare la soglia di rischio, ma poi arriva per fortuna una partita di pallone. Non c’è niente di serio. Evviva. Tutti recitano una commedia, come diceva Petronio Arbitro, scrittore latino e nostro antenato. E’ un’antica abitudine. E l’attacco alla Costituzione, adesso ne abbiamo la certezza,  è una cosa da Oronzo Canà.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.