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L'editoriale del direttore

La rottamazione degli amici di Meloni. Che test è il voto su Ursula

Claudio Cerasa

Orbàn, Vox, Salvini, Le Pen. La premier italiana arriva al voto su von der Leyen con una consapevolezza nuova: i suoi vecchi amici sono più pericolosi dei suoi vecchi avversari. È ora di prenderne atto, anche votando Ursula 

Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io. C’è un vecchio proverbio derivato dalla saggezza popolare che inquadra perfettamente quello che è lo stato inconfessabile in cui si trova la traiettoria politica di Giorgia Meloni. Dagli amici mi guardi Iddio, si diceva, che dai nemici mi guardo io. E in effetti, se ci si riflette un istante, finora per Meloni i problemi più grandi sono arrivati più dalle azioni portate avanti dai cosiddetti amici che da quelle portate avanti dai non sempre temibili nemici. Gli avversari, in Italia e all’estero, in fondo Meloni li conosce. Sa che il Pd userà sempre contro Meloni l’arma della minaccia fascista e l’arma dei diritti minacciati. Sa che il M5s cercherà sempre di far notare quanto Meloni sia incoerente con il suo passato. Sa quanto il vecchio terzo polo cercherà sempre di mettere in luce il suo europeismo a metà. E sa quanto i Macron, gli Scholz, i Sánchez cercheranno sempre di far pesare, sui tavoli che contano, il passato di Meloni, per provare a marginalizzare il suo governo. Gli avversari, tutto sommato, sono prevedibili e in fondo persino gestibili. Ma cosa dire invece degli amici di Meloni? Se ci si pensa bene, in fondo, nel primo anno e mezzo di governo gli amici di Meloni sono stati, per la premier, la sua croce e la sua delizia, innescando un meccanismo così sintetizzabile: più i suoi amici, in giro per il mondo, si sono allontanati da lei, in questi mesi, e più il percorso di Meloni è apparso andare verso una direzione opposta a quella populista. Il caso più recente, ovviamente, è quello del gruppo europeo, il gruppo dei patrioti, intesi i patrioti per Putin, la cui formazione ha sì creato un problema a Giorgia Meloni, facendo precipitare il suo gruppo parlamentare europeo dalla posizione numero tre alla posizione numero quattro quanto a iscritti, ma ha anche creato una grande opportunità.

 

Uno dei grandi problemi che aveva Meloni in Europa era quello di essere considerata troppo vicina a Vox, e Vox ha mollato Meloni per andare con Orbán, Salvini e Le Pen. Uno dei grandi problemi che aveva Meloni in Europa era quello di essere considerata troppo vicina a Le Pen, e invece Le Pen ha preferito andare nel gruppo di Orbán piuttosto che in quello di Meloni. Uno dei grandi problemi che aveva Meloni in Europa era quello di essere considerata troppo vicina a Orbán, e invece Orbán in Europa ha mandato a quel paese Meloni e ha creato un gruppo di patrioti il cui compito prioritario sembra essere quello di trollare ogni giorno le destre nazionaliste diventate più di governo e meno di lotta. Gli amici di Giorgia sono la sua croce e la sua delizia. Più si allontanano da lei e più la fanno sentire sola. Ma più si allontanano da lei e più la rendono potenzialmente più presentabile e più forte agli occhi della comunità internazionale. Doveva essere come Le Pen e oggi invece Meloni è un’alternativa al modello Le Pen. Doveva essere come Vox e invece oggi Meloni è un’alternativa al modello Vox. Doveva essere come Orbán e invece oggi Meloni è un’alternativa a Orbán, il cui percorso putiniano, anti ucraino e finto pacifista lo rende perfettamente complementare alla stessa sinistra a trazione grillina che ogni giorno accusa Meloni di aver messo l’Italia sulla strada dell’orbanizzazione del nostro paese. Gli amici di Giorgia sono la croce e la delizia di Giorgia, e ovviamente il discorso, ça va sans dire, vale anche per il rapporto di Meloni con Salvini, il quale da settimane ormai è tornato a fare politica in modalità Papeete: qualunque cosa faccia il mio alleato di governo, ieri il M5s oggi Fratelli d’Italia, io farò di tutto per dimostrare che in qualche modo sta tradendo il paese.

Meloni sostiene i paesi Nato che vogliono continuare ad aiutare militarmente l’Ucraina? Ecco che arriva Salvini che, insieme con i Patrioti per l'Europa, vota contro la   prima risoluzione del Parlamento europeo sul sostegno continuo al popolo ucraino, come è successo ieri. Meloni vota a favore del patto dei migranti in Europa, allontanandosi da Orbán? Ecco che arriva Salvini che dice che firmare quel patto è “deludente”. Meloni si avvicina a piccolissimi e timidissimi passi verso Ursula von der Leyen? Ecco arrivare Salvini che in Senato dice, facendosi sentire dai giornalisti: “Se Meloni vota von der Leyen è la sua fine”. È una croce per Meloni, Salvini, ma dall’inizio della legislatura è anche la sua delizia, perché è inutile nascondersi che una delle ragioni che hanno permesso a Meloni di avere una sua allure internazionale è aver dimostrato, semplicemente, di non essere Salvini e di non essere un’erede naturale della travolgente esperienza di governo gialloverde. A livello internazionale, è vero, l’allure di Meloni è quello che è, pur essendo l’unico leader di un paese del G7 che al momento gode di una stabilità politica che tutti gli altri si sognano, ma ciò che ha permesso a Meloni di conquistare alcune cancellerie in giro per il mondo è anche il suo non essere la copia di altri leader di destra. Meloni ha avuto la fortuna di arrivare al governo dopo il disastro della sua amata Liz Truss in Inghilterra, a cui in parte la premier italiana si ispirava. Meloni ha avuto la fortuna di arrivare al governo dopo il disastro di un’altra destra a cui si ispirava, quella negazionista brasiliana modello Bolsonaro. Meloni ha avuto la fortuna di arrivare al governo senza sentirsi in dovere di aderire anzitempo alla piattaforma trumpiana e il suo atlantismo bideniano è stato favorito anche dal fatto che alle elezioni di midterm nel 2022 i repubblicani di Trump sono andati male.

E ovviamente, tra le altre fortune, fre le altre croci che sono diventate delizie, ce n’è un’altra importante che riguarda una circostanza più recente: la fortuna per Meloni di avere accanto a sé una Francia dove l’onda lepeniana è stata contenuta, circostanza che non ha costretto Meloni a trovarsi nelle condizioni di dover valutare una sua eventuale lepenizzazione. Molte di queste croci che diventano delizie coincidono con dei posizionamenti meloniani in parte non volontari ma dettati dall’inerzia, dall’incontro a volte traumatico con la realtà. Ma per Meloni ora si presenta un’occasione importante con cui provare a dimostrare di essere differente dalle destre populiste mondiali. E l’occasione è a un passo. L’occasione è oggi, l’occasione è giorno in cui quando la destra modello Meloni deve scegliere se votare o no Ursula von der Leyen per provare a far contare l’Italia in Europa nei prossimi cinque anni e  provare a trasformare  la destra meloniana non in una complice ma in un’alternativa alla destra sfascista putiniana guidata dai vecchi amici patrioti. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.