L'intervista

Bettini: “Bene apertura Renzi: ora tentiamo nuovo centrosinistra”

Gianluca De Rosa

Il dirigente Pd, teorico del campo larghissimo, gongola dopo l'intervista al Corriere del leader di Iv: "Sembra davvero voler sbarrare la strada a Meloni". E su Calenda: "Adesso rischia di diventare irrilevante"

"Credo che Renzi, politicamente assai più rapido di Calenda, abbia compreso che la destra al governo ha cambiato tutto il quadro. O si sta da una parte, o dall’altra”. Goffredo Bettini è molto soddisfatto. Alla fine anche il leader di Iv gli ha dato ragione: “Basta veti, anche su Conte”, ha detto ieri al Corriere. Il campo per opporsi a Meloni, sta cominciando a comporsi, aveva ragione lei, è soddisfatto? “Senz’altro – risponde Bettini – Renzi ha persino indicato, nella ricostruzione di una sorta di nuova Margherita, la possibile aggregazione di un’area ‘repubblicana’. Sembra davvero voler sbarrare la strada alla Meloni e far prevalere un inedito centrosinistra. Certo, è difficile cancellare il passato. Ma in politica non è giusto impiccare ad esso tutto il futuro”. E d’altronde anche il governo rossogiallo nacque con un superamento di veti su Giuseppe Conte di Renzi e dall’allora Pd zingarettiano, ben suggerito proprio da Bettini. “Poi qualche anno fa, sul Foglio, scrissi un lungo articolo sostenendo che il campo democratico si dovesse reggere su tre gambe”, ricorda Bettini. “Il Pd, il M5s e un polo liberale, libertario, moderato ma modernizzatore. L’appello non fu accolto. E sono seguiti anni difficili. L’Italia è un paese complesso. Non convinci e non vinci con un partito unico; attorniato da piccoli satelliti.  Io lavoro e credo nella sinistra, troppo sbiadita nei tempi che ci stanno alle spalle. Eppure, ho la chiarissima percezione della necessità di un’alleanza di più ampio respiro, in grado di rappresentare elettorati democratici diversi. Da sola la sinistra non ce la fa. Persino quando fu fortissima, negli anni 70, Berlinguer disse che non era possibile governare con il 51 per cento. Tanto più oggi, presunzioni frontiste sono destinate al fallimento. Sono soddisfatto, dunque, che cadano i veti e che si corregga la conflittualità che ci ha portato alla rovina. Compresa la sconfitta alle ultime politiche, che uniti avremmo potuto vincere o almeno pareggiare”. Renzi ha ricordato che prima delle elezioni politiche del 2022 fu Enrico Letta a mettere un veto sul suo nome per un’alleanza nei collegi. Adesso questa “moratoria Renzi” sembra superata. “La caduta dei veti tuttavia è solo la condizione preliminare per immaginare un processo unitario. Troppe lacerazioni ci portiamo dentro. Occorre tempo e serietà. Non servono manovre improvvisate, politiciste e di vertice; piuttosto è indispensabile già da subito condurre insieme decisive battaglie di opposizione, come il referendum sull’autonomia differenziata o il rilancio della sanità pubblica. Serve riprendere confidenza gli uni con gli altri e un confronto programmatico serio e impegnativo. Mancano ancora tre anni alle prossime elezioni politiche. C’è lo spazio per fare le cose per bene. È decisivo richiamare in campo tutte le energie disponibili e autorevoli. I protagonisti di una nuova unità non possono essere solo quelli del passato. Lo stesso Renzi ha richiamato questa esigenza di collegialità. Va affermato il pluralismo paritetico nella coalizione e dentro ciascuna forza politica che intende collaborare”. Si aspetta che adesso dopo +Europa e Iv anche Azione di Carlo Calenda cercherà una convergenza a sinistra? “Ascoltando le sue parole, sembra difficile”, risponde Bettini. “Pensa che in mezzo a due grandi iceberg, che inevitabilmente tendono a scontrarsi, la sua barchetta possa navigare. Rischia di diventare irrilevante, ma per carattere preferisce inabissarsi, impettito, solenne e con tutte le sue medaglie, piuttosto che rinunciare a un comando personale”. 


A questo nuovo centrosinistra comunque non mancano certo le contraddizioni. Proprio ieri, lo stesso giorno dell’intervista a Renzi sul Corriere, Maurizio Landini ha depositato in Cassazione i quesiti per il referendum abrogativo sul Jobs act. Si può alleare chi pensò quella legge e chi come Schlein oggi firmerà i quesiti della Cgil? “Anche io sostengo quei quesiti”, dice il dirigente del Pd. “L’ho detto: il lavoro è lungo e non scontato. Ma prima ci mettiamo in cammino e meglio è. Osservo inoltre che da allora la situazione è profondamente cambiata. Il capitalismo sfrenato e senza regole ha prodotto disuguaglianze, vite sperse e prive di senso, conflitti interni e internazionali. È sempre più evidente la sua incapacità di convivere con la democrazia e le istituzioni liberali. La consapevolezza di quest’accelerazione dei problemi può ispirare un indirizzo unitario del nuovo centrosinistra italiano”. Ai tempi dell’Unione mettere tutto insieme consentì di portare la sinistra al governo, ma di restarci ben poco, funzionerà di nuovo questa grande ammucchiata? “Verissimo”, riconosce Bettini. “Ricordo, però, che prima della ‘pletorica unione’, Prodi realizzò l’Ulivo. Allora, furono determinanti anche Veltroni e D’Alema. Oggi, non immagino uno spezzatino di partiti da mettere confusamente assieme nella stessa pentola. Mi sono riferito a tre robusti soggetti che debbono, peraltro, risolvere in positivo la fase che attraversano. Il M5s, che spero si stabilizzi attorno a Conte, il leader che l’ha salvato da una quasi certa marginalizzazione. Lo spazio liberale, che ha bisogno di leader autorevoli che si rendano disponibili (ho parlato, ad esempio, più volte di Rutelli) e di una nuova generazione che va fatta emergere. E, infine, di tutta la sinistra italiana. Anche del Pd, che grazie alla segretaria Schlein, si è ripreso assai bene; e che ora necessita di un ulteriore rinnovamento nelle sue forme di vita, di un’apertura plurale, di un assestamento che lo rendano più robusto sul piano culturale, ideale e valoriale. Che assomigli, insomma, come ha detto Andrea Orlando, un po’ più alle liste vincenti che ha presentato alle ultime europee”. 


Ieri, intanto, in Europa si è votato il bis della presidente della Commissione von der Leyen, si aspettava questo tentennamento di Meloni che fino all’ultimo non aveva deciso cosa votare, e alla fine ha optato per il no? Come se lo spiega? “Sì. La Meloni non è riuscita a superare le contraddizioni che la tirano da una parte e dall’altra. Il passato storico che le pesa addosso e dal quale non si è liberata. La cerchia delle persone che le stanno più vicino, cresciute nel Msi. La pretesa di interpretare il ventre molle dell’elettorato conservatore e reazionario italiano, in sintonia con la ‘banalità del male’ di Vannacci. L’ambizione di diventare una statista affidabile in Europa e nel rapporto con gli Usa. Vittima delle sue mancate scelte, mi pare in preda ad una grande confusione. Seppure non vada mai sottovalutata. C’è una fragilità che può esplodere a fronte di scelte economiche e finanziarie durissime. Durerà 5 anni? Vedremo. Ma la nostra priorità, nel fare opposizione, è costruire un’alternativa credibile. Di società e di governo”.


Due giorni fa intanto Conte, Schlein e Fratoianni erano a Genova per chiedere le dimissioni del governatore Giovanni Toti. È giusta una richiesta del genere per un presidente solo indagato? In passato il Pd, penso al caso di Mario Oliverio in Calabria, si pentì di aver seguito questa logica. “Le dimissioni di Toti non vanno chieste perché indagato”, riconosce Bettini. “Sono un garantista da sempre. La vita delle persone è sacra e va rispettata. Anche nel mio partito ci sono tanti che hanno vissuto nel sospetto o, persino, nella più ingiusta marginalizzazione perché indagati. Mario Oliviero, certo. Ma anche Filippo Penati, Andrea Cozzolino, Leopoldo Di Girolamo (il bravissimo Sindaco di Terni) e tanti altri. Toti se ne deve andare perché è concluso ed è fallito il suo ciclo politico. In Liguria vanno liberate le energie migliori da un sistema di potere asfissiante”.