Psicodramma Terzo polo. È ora di scegliere da che parte stare e unire le forze

Claudio Cerasa

Moderati un piffero. Le praterie tra i poli non ci sono e per combattere la legge di Murphy il centro deve scegliere da che parte stare. E si può fare

Più che un romanzo è ormai uno psicodramma. Più che una fiction è ormai una comica. Più che una partita a scacchi è ormai, come si faceva da bambini, un tutti contro tutti. Il mondo del centro italiano, se così lo possiamo chiamare visto il suo essere diventato tutto tranne che centrale nella vita politica italiana, da molti mesi vive all’interno di una bolla che si trova lontana da un pianeta chiamato realtà. All’interno di questa bolla si litiga per nulla, ci si divide per stupidaggini, ci si scontra per fesserie e non ci si rassegna all’idea di fare i conti con la famosa Legge di Murphy: se qualcosa può andare storto, lo farà.

 

Dall’ottobre del 2022, il famoso Terzo polo, se così lo possiamo ricordare, è riuscito a sbagliare tutto ciò che poteva sbagliare. E da quel 7,7 per cento ottenuto alle politiche di due anni fa, il risultato è quello che abbiamo di fronte ai nostri occhi: il polo da che era terzo, sulla carta, è diventato tetro, per così dire, è diventato respingente, e con il tempo gli errori si sono moltiplicati. Il più grave di tutti è stato quello commesso da Carlo Calenda prima delle ultime elezioni, quelle europee, durante le quali, per testardaggine, il vecchio Terzo polo si è presentato diviso, con Azione da una parte e Italia viva e +Europa dall’altra.

 

La realtà, quando si parla di quella fetta di elettorato per così dire centrista, per così dire moderato, anche se i cosiddetti elettori moderati oggi sono i più arrabbiati di tutti, i più incazzati, perché si guardano attorno e non sanno dove sbattere la testa, è che le famose “praterie al centro” non esistono. E anche dove esistono, contano poco o nulla. Possono contare qualcosa in un paese come la Francia. E possono raccogliere qualcosa in paesi come la Gran Bretagna. Ma questi casi confermano la regola.

 

E la regola è che in giro per l’Europa, e anche in Italia, quando il bipolarismo torna a essere un elemento cardine della vita politica, quando cioè gli elettori si convincono che le alternative siano da ricercare all’interno del sistema stesso e non fuori dal sistema, succede che le proposte di centro per poter avere un futuro devono scegliere da che parte stare. O di qua o di là. Stare in mezzo significa voler perdere tempo, significa voler sprecare risorse, significa voler perdere un’occasione che invece c’è: provare a bilanciare, a destra e a sinistra, coalizioni che in mancanza di un centro forte potrebbero un giorno sbandare verso gli estremi.

 

A destra, Forza Italia ha trovato la sua strada, anche grazie a un’assicurazione sulla vita chiamata Matteo Salvini, che permette al partito guidato da Antonio Tajani di essere centrale, nella coalizione, praticamente giocando da fermo, come Jorginho nel centrocampo dell’Italia. A sinistra, invece, il Pd una sua strada la sta cercando, con un po’ di fatica, ma il famoso abbraccio tra Elly Schlein e Matteo Renzi potrebbe essere qualcosa di più di un gesto sportivo, come ha detto ieri l’ex premier in un’intervista al Corriere.

    

Potrebbe essere la manifestazione di un’intenzione saggia: capire che per battere gli avversarsi, in un sistema come quello italiano, non si può pensare di fare gli arbitri ma bisogna cercare un modo di fare un gol in più dell’altra squadra. E se il centro italiano volesse trovare un modo per essere competitivo non avrebbe altra scelta che guardarsi allo specchio, pensare agli errori del passato, compresi quelli commessi da chi è uscito dal Pd in cerca di fortuna senza capire invece, come dimostra la storia di Keir Starmer, che aspettare il proprio turno in un grande partito alla lunga paga di più che giocare le proprie carte fondando un proprio partito, smetterla di marciare divisi e non colpire uniti e scegliere da che parte stare.

 

A destra, uno spazio c’è. A sinistra, uno spazio non c’è ancora. Crearne uno, nuovo, unitario, come si dice in questi casi, scegliendo il leader di questo partito con le primarie, come si sarebbe fatto un tempo, potrebbe essere un modo per provare a invertire la Legge di Murphy e ricominciare se non a sognare almeno a fare politica.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.