Cecilia Strada e Marco Tarquinio al Parlamento europeo (Roberto Monaldo/LaPresse)

L'intervista

“Pace e clima, anche Ursula ha scelto noi”. Parla Cecilia Strada

Francesco Gottardi

“Il patto è chiaro”, dice la neoletta col Pd: “Noi garantiamo senso di responsabilità, von der Leyen accoglie la nostra agenda”. Dal green deal all’atlantismo tiepido. Così l’Europa ha scaricato Meloni

Roma. E’ l’entusiasmo del primo giorno di scuola. “Non vedo l’ora che sia settembre”, dice al Foglio Cecilia Strada. Eppure a Strasburgo c’è già stato il primo compito in classe: “Due votazioni impegnative. Sulla rielezione di von der Leyen non c’erano alternative: non sono una fan della sua politica, ma abbiamo ottenuto il male minore. Mentre proteggere l’Ucraina significa tirarla fuori al più presto dai crimini di guerra, attraverso però l’iniziativa diplomatica e umanitaria. Non con l’escalation militare”. Così pezzi di Pd hanno finito per votare come i sovranisti. “Anche un orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno”. La neoeletta tra le file dem, attivista e indipendente, preferisce parlare di pluralismo interno. “Una ricchezza e un valore aggiunto”. Se non diventa anarchia. “Ma no. La delegazione è compatta: vogliamo tutti pace, giustizia sociale e climatica. Mi batterò fino alla fine del mio mandato”. Auguri alla maggioranza Ursula. “Lei doveva scegliere quali voti portare a sé. E ha scelto i nostri, mica quelli della destra. Un sollievo il no di Meloni. Un dato di fatto che la premier stia perdendo consenso e credibilità. Anche all’estero”.

 

Lo schiaffo brucia doppio. Perché c’è del vero, nelle parole dell’eurodeputata: per due anni Giorgia si fa in quattro, lavora sull’immagine istituzionale, atlantismo a oltranza e tutto il resto. Poi al momento clou che succede? Von der Leyen apre ai verdi, alle colombe sulla Russia e ai Nato-scettici (ce ne sono, nella coalizione). “Era difficile che la destra accettasse queste condizioni. Per fortuna non l’ha fatto”, ribadisce Strada – anzi “Cecilia, prego”. Ora la premier sostiene di essersi comportata “come dovrebbe un leader europeo”, che con Ursula ha “un buon rapporto e l’Italia avrà un ruolo di peso”. La cruda realtà, fa intendere la chiacchierata con l’ex presidente di Emergency, è che Meloni a Bruxelles continua a contare come il due di coppe quando la briscola va a danari. Facciamo il cinque, toh. “E noi – insistono dal Pd – faremo di tutto per incidere, avvicinando la Commissione alle nostre battaglie”. Dulcis in fundo, il ruolo dell’Italia: due giorni dopo il voto (la Nato non sarà l’Ue ma ne segue le gerarchie) Stoltenberg ha affidato alla Spagna l’incarico per il Fronte sud, cui i meloniani tenevano tantissimo. Crosetto s’è infuriato. Manco le briciole.

Ma torniamo a Cecilia, all’ala sinistra dei socialdemocratici. “Queste ultime settimane tra campagna elettorale e insediamento sono state un po’ un frullatore. Ma il Parlamento europeo offre tutti gli strumenti necessari per lavorare bene”. E le giuste amicizie. La capolista dem al nord ovest sembra aver scelto subito i compagni di banco, tra Ilaria Salis e Mimmo Lucano: se fossimo al liceo, occupazione permanente. “Ferma condanna a Putin e fermo sostegno all’Ucraina”, la premessa. “Ma l’ultima risoluzione è stata eccezionalmente portata avanti senza discussione interna, con dei punti su cui non potevo essere d’accordo”, e come lei il collega Marco Tarquinio. “Su tutti le armi: estenderne il raggio d’azione sarebbe un salto di specie di questa guerra. E nel testo mancava ogni riferimento allo sforzo negoziale che dovrebbe assumersi l’Europa. Non è disinteresse il nostro, anzi. Quello della destra? Loro hanno votato contro. Chiedendo di applaudire l’iniziativa di Orbán, che abbiamo ampiamente bocciato. Quindi non tutti i no sono uguali”.

Secondo Cecilia Strada, “il nostro eurogruppo cercherà sempre una sintesi concertata. Quando così non sarà, niente drammi o strappi. Soltanto sensibilità diverse”. Parla già da europarlamentare. “We’ll cross the bridge when we get there. Ma non siamo ancora arrivati a quel ponte”. Chissà se riusciranno a costruirlo insieme, le varie anime della nuova presidenza von der Leyen. “Avremmo preferito Nicolas Schmit”, il commissario europeo per l’occupazione e gli affari sociali, socialista lussemburghese, “ma nel momento in cui questa strada non si è dimostrata realizzabile non restava che appoggiare Ursula. Il patto è molto chiaro: noi sentiamo un grande senso di responsabilità, lei accoglie la nostra agenda. Green deal, lavoro, salute, pace, ambiente. Combattere le disuguaglianze e le discriminazioni. Se avesse chiesto muri ancora più alti, non ci saremmo stati”.

Ci ha pensato Schlein, insomma. “Ha portato in Europa negoziazioni importanti”, rivendica Cecilia, fortemente voluta dal segretario dem. “Ci siamo confrontate, ma non è mai abbastanza. Parlare con Elly è sempre fonte d’ispirazione. Ha una rara intelligenza politica. Anche per questo Meloni è in affanno”. Sì? “La destra, a furia di puntare il dito sui nemici, ha perso 700mila voti. Il Pd ne ha presi 300mila. Il dietrofront su Ursula è anche opportunismo”. Se non un relegarsi all’Italietta.

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