Le responsabilità del governo italiano per la presa in giro della Nato
Javier Colomina, diplomatico spagnolo, sarà il rappresentante dell'Alleanza per i rapporti con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Per il nostro esecutivo la scelta è inaccettabile, per gli osservatori neutrali si tratta quasi di una punizione. La Nato però c'entra poco
La decisione del Segretario generale della Nato uscente, Jens Stoltenberg, di nominare Javier Colomina, diplomatico spagnolo attualmente vice-segretario generale aggiunto della Nato per gli affari politici, a rappresentante speciale dell’Alleanza per i rapporti con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo ha generato forti reazioni. Alcuni vedono la decisione come una dimostrazione del presunto crescente isolamento dell’Italia sotto l’attuale governo. Il governo, da parte sua, ha parlato di scelta inaccettabile. Osservatori neutrali hanno invece parlato di scelta quasi punitiva. In realtà, il problema è diverso e più complesso e la Nato c’entra poco.
Nessuna nomina internazionale è dovuta o meritata. D’altronde la Nato, come l’Ue o l’Onu, ha tanti membri, ognuno interessato a particolari posizioni. È come la Champions League: tante squadre ambiscono al trofeo, ma solo una può vincere. In un tale contesto, non servono avanzate competenze in statistica, per capire come le probabilità siano sempre ridotte.
Il primo fallimento dell’Italia, a cui ha contribuito il governo, è rivendicare un qualche diritto verso questa posizione. Un po’ come la Juventus di Andrea Agnelli che comprò Cristiano Ronaldo per vincere la Champions. Così si mettono le basi del proprio fallimento: se la coppa non arriva, o non si ha l’incarico Nato, il fallimento è conclamato. Non dà altri, ma da se stessi.
Il secondo fallimento deriva dall’interesse del governo per questo ruolo. Una posizione, come altre, largamente inutile. L’Ue ha nominato Luigi Di Maio per un ruolo analogo per i rapporti con i paesi del Golfo. Se l’incarico avesse reali responsabilità e capacità d’influenza l’avrebbero dato a qualcuno con più esperienza. Lo stesso vale per la posizione che ricoprirà Javier Colomina: andrà in Medio Oriente e in Nord Africa, farà incontri, foto, comunicati su Twitter, evidenziando l’attenzione della Nato a questa zona del mondo. Tutto qui. Non avrà un suo budget e non avrà capacità di iniziativa. Si tratta, dunque, di posizioni simboliche. Per tornare alla metafora calcistica, siamo ai quei campionati o coppe disegnate proprio per far vincere chi non vince mai.
Il terzo fallimento è più profondo e riguarda la ragione per cui il nostro paese presta importanza a queste coppe di consolazione. L’unica spiegazione è la debolezza strutturale della sua politica estera e di difesa. L’Italia preme perché la Nato guardi al “Mediterraneo allargato” da oltre dieci anni. Ma non c’è, un’iniziativa, una strategia dietro alla retorica. D’altronde, ci fosse un’idea vagamente presentabile sarebbe stato possibile coalizzare dei partner attraverso la Nato, l’Ue o in un altro format, verso qualche passo concreto. Non c’è nessuna idea perché né la Farnesina né la Difesa hanno, internamente, una minima capacità di pianificazione, analisi o programmazione. Militari e diplomatici sono, per certi versi, contenti di questa situazione che, di fatto, non permette di valutarne l’operato. Così possono promettere al governo di turno di vincere una delle coppe di consolazione, vendendola come la Champions League. Se si vince, “merito del duro lavoro della nostra diplomazia” e “viene riconosciuta la credibilità del governo”. Se si perde, conviene a tutti parlare della “pugnalata alla schiena”.
Non è chiaro come mai persone certamente non sprovvedute come i ministri della Difesa Crosetto e degli Esteri Antonio Tajani si siano cacciate in questa situazione. Forse una coppa di consolazione faceva comodo a tutti. O forse nessuno dei due ministri ha intenzione o interesse a ingaggiare una lotta con le rispettive burocrazie ministeriali.
Che fare?, dunque, si chiedeva Lenin. Se il governo consapevolmente si è buttato a pesce per vincere una coppa di consolazione, il fallimento è tutto suo. Se, invece non è così, Crosetto e Tajani potrebbero chiedere alle rispettive burocrazie come mai hanno fatto partecipare il paese a una specie di fantozziana coppa Cobram. E come mai hanno spinto la retorica nazionale verso un successo per nulla assicurato. Nel frattempo, i due ministri potrebbero anche chiedere ai rispettivi dicasteri di produrre, per il trenta settembre, due strategie per il medio oriente o il nord Africa, che da presentare in Parlamento e far valutare da esperti esterni. Sarebbe singolare se i due dicasteri non fossero in grado di produrre due documenti – che parlano chiaramente di obiettivi, mezzi, strumenti e strategie – dopo un decennio nel quale evidenziano l’importanza del tema. E sarebbe ancora peggio se quel prodotto fosse scadente.