Il caso

Meloni riceve Costa: distensione dopo lo strappo Ue. E per il dopo Fitto deleghe pesanti a Fazzolari

Simone Canettieri

A Palazzo Chigi il neo presidente del Consiglio europeo. Nessuna dichirazione, ma segnali di tregua. Se il super ministro diventerà commissario l'idea di affidare Pnrr e Coesione al sottosegretario

“E’ preoccupata” per il dopo Fitto. E nell’incertezza ha una mezza sicurezza: le leve più pesanti che potrebbe lasciare a Roma il futuro commissario Ue possono andare solo a una persona. E chi se non Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario con delega all’Attuazione del programma nonché regista della comunicazione del governo e di Fratelli d’Italia?

Il cervello del melonismo, custode dell’ortodossia e del pensiero magico potrebbe così accumulare due deleghe non banali: Coesione e Pnrr (con l’aiuto silenzioso e tecnico di Ermenegilda Siniscalchi, capo di gabinetto di Fitto). “Fiducia” e “coerenza” sono d’altronde le ossessioni della premier come dimostra anche il voto contrario, fieramente rivendicato, al bis di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea. E dunque come, si sa, a Meloni si può togliere tutto ma non il suo “Fazzo”, ultimamente lontanissimo da riflettori e taccuini, nonostante l’incessante ruolo di consigliere del principe, anzi della principessa. Come il posizionamento politico di FdI a Strasburgo, la scorsa settimana, e prima ancora a Bruxelles in Consiglio europeo sulla nomina dei tre top jobs. Il sottosegretario, occupandosi dell’attuazione del programma di governo, interviene su tutti i dossier e viene definito “già ingolfato”. Ma resta il porto sicuro della premier, più del collega Alfredo Mantovano. Meloni davanti all’ipotesi spacchettamento delle deleghe di Fitto non ha intenzione di concedere spazi agli alleati, soprattutto in questa fase di dialettica così accesa (eufemismo) fra Antonio Tajani e Matteo Salvini. Ecco perché il Sud potrebbe andare a Nello Musumeci, ministro per il Mare e la Protezione civile, e gli Affari europei a Edmondo Cirielli, viceministro degli esteri con delega già alla Cooperazione internazionale. Questo è uno schema, variabile e ancora ballerino per una serie di motivi. Il primo: i tempi, se ne riparla a ottobre, minimo. Il secondo riguarda la concreta partenza di Fitto in Europa solo “se ne vale la pena”. E cioè a fronte di un portafoglio di peso e di natura economica (concorrenza, coesione, bilancio interno). La possibilità di un commissario al Mediterraneo, per quanto funzionale al core business dei migranti, viene vista come un ripiego se non un piano B. Meloni, dopo la rabbia e l’orgoglio muscolare dei giorni scorsi, adesso sembra cambiare approccio con i vertici Ue. Lo dimostra la visita – senza dichiarazioni finali – del neo presidente del Consiglio Antonio Costa. Accompagnata da una nota distensiva. 

Meloni, come si ricorderà, ha espresso parere negativo alla nomina del socialista Costa e della liberale Kaja Kallas, astenendosi in Consiglio su von der Leyen. Ieri al termine dell’incontro, il primo da incaricato del portoghese nel tour delle capitali europee, la premier ha fatto sapere di aver discusso con il successore di Charles Michel di “immigrazione” e “competitività”. E cioè i due dossier che, a seconda delle combinazioni, possono  vestire il nuovo commissario italiano. A leggere in controluce le parole uscite da Palazzo Chigi Costa avrebbe rassicurato la presidente del Consiglio “su una leadership condivisa e pragmatica del Consiglio europeo”. Insomma: “Giorgia, scordiamoci il passato”. “Antonio, niente di personale per la bocciatura”. Nonostante questo, dopo aver stressato negli ultimi tempi il rapporto con Bruxelles, ora Meloni pare intenzionata a non esagerare. Si spiega anche così lo stop al ddl Concorrenza tanto caro al proponente Matteo Salvini che doveva approdare ieri in Consiglio dei ministri, ma alla fine è slittato a venerdì prossimo. Il vicepremier aveva già in caldo dei lanci Instagram, voleva illustrare i nuovi provvedimenti sulle concessioni autostradali soprattutto in merito allo “spalma lavori”. Tuttavia come ha commentato Raffaele Fitto, a margine di una conferenza sul Pnrr che sapeva un po’ di commiato, “il ddl Concorrenza è “un testo importante, che ha bisogno di approfondimenti: tendenzialmente non entro nel merito delle singole questioni, so che il lavoro che abbiamo sempre fatto è quello del confronto con la Commissione Ue, spesso preventivo per evitare di creare situazioni polemiche e problemi”. Dunque calma e gesso per evitare frontali e bocciature, ma anche tensioni con Bruxelles. Posto che, come dicono tutti nel governo forse a esorcizzare il pericolo, non ci saranno ripercussioni per l’Italia dopo il no all’Ursula bis. Al contrario qualche problemino, questo sì, inizia a esserci tra Forza Italia e Lega. Il Cdm di ieri ha fatto incontrare di nuovo i vicepremier duellanti. Meloni vuole armonia. E pensa alle cose serie. Come il dopo Fitto.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.