L'editoriale del direttore
Gli zeru tituli italiani in Europa. Una mappa delle occasioni perse
L’Italia si è vista sfilare l’assegnazione del ruolo di inviato per il Fronte sud della Nato, ha perso la presidenza del Consiglio di vigilanza della Bce, non ha ottenuto la guida della Bei. A questo si aggiunge il flop annunciato sulla candidatura di Roma all’Expo. Alla lunga si paga un prezzo ad avere una classe dirigente debole
Il punto in fondo è quello: che cosa vuol dire, esattamente, contare in Europa? La scelta di Giorgia Meloni di non votare per Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea ha fatto tornare d’attualità un tema praticamente eterno per il nostro paese. Si è detto spesso, negli ultimi giorni, che la mossa spericolata della premier, in Europa, avrà l’effetto di allontanare sempre di più il governo dalle posizioni che pesano in Europa e non c’è dubbio che avere un’Europa che dimostra di poter andare avanti senza l’Italia non rappresenta la premessa migliore per dimostrare di essere tutto tranne che isolati nelle scelte che conteranno nel futuro istituzionale del nostro continente. Lo sguardo degli osservatori, giustamente, si è rivolto verso il futuro e si è rivolto verso la scelta del commissario europeo che in autunno verrà affidato all’Italia.
Non sappiamo se Giorgia Meloni, di qui a quell’appuntamento, avrà la forza di far pesare, negli equilibri europei, ciò che rappresenta l’Italia in Europa, ovverosia la terza forza economica del continente e la seconda potenza manifatturiera più importante d’Europa. Sappiamo però con una ragionevole certezza che l’Italia rischia di essere molto più debole rispetto a ciò che è stata negli ultimi anni e questo vale sia per le posizioni che riguardano l’attività dei partiti che si trovano al governo sia per le posizioni che riguardano l’attività dei partiti che si trovano all’opposizione. Nell’ultima legislatura, l’Italia ha espresso uno dei commissari europei più importanti, quello all’Economia, e se nella nuova legislatura non avrà un commissario di pari peso, come potrebbe essere per esempio il commissario all’Industria, ruolo a cui dovrebbe guardare l’Italia, come detto dal vicepremier Antonio Tajani a questo giornale, sarà difficile non notare il clamoroso passo indietro fatto dal nostro paese. La stessa storia vale per i ruoli su cui ha lavorato l’opposizione, ovvero il Pd, e anche qui risulta impressionante come il principale partito dell’opposizione sia riuscito a perdere tutte le cariche più importanti a cui poteva ambire.
Da primo partito del gruppo dei socialisti, avrebbe potuto provare a far pesare il suo profilo all’interno del Consiglio europeo, candidando magari per il ruolo di presidente un ex premier del Pd, ma quella partita non è stata mai giocata. Stessa storia per il capogruppo dei socialisti, ruolo a cui il Pd avrebbe potuto ambire, ma anche lì la partita è stata vinta dai socialisti spagnoli. Stessa storia per la presidenza della commissione Econ, una delle più importanti del Parlamento europeo: il Pd aveva Irene Tinagli, quel ruolo è andato invece alla francese Aurore Lalucq, e il Pd si è accontentato di una meno prestigiosa guida della commissione Ambiente, affidata all’ex sindaco di Bari Antonio Decaro. A tutto questo si potrebbe aggiungere il fatto che anche Forza Italia, che Ursula l’ha votata, ha perso una presidenza di peso, quella della commissione Affari costituzionali, e che quella presidenza non è stata compensata da altro. Ma il tema vero che ci indica la goffa traiettoria italiana in Europa – traiettoria che forse sarebbe potuta essere diversa se i partiti italiani, quelli di maggioranza e quelli di opposizione, avessero scelto di muoversi in blocco, insieme, come succede in Germania, per far contare di più il proprio paese – coincide con un trend poco eccitante che ha imboccato il nostro paese negli ultimi anni e che riguarda la capacità sistematica da parte dell’Italia di non toccare palla quando si tratta di ottenere risultati importanti nelle partite europee (unica eccezione: la sostituzione, nel board della Bce, di Fabio Panetta con Piero Cipollone, nell’ottobre del 2023).
Mettere insieme i puntini può aiutarci a capire di cosa stiamo parlando. Pochi giorni fa, l’Italia si è vista sfilare l’assegnazione del ruolo di inviato per il Fronte sud della Nato: il governo aveva proposto alcuni nomi, il ministro della Difesa si era detto ottimista per quell’incarico, l’incarico è stato assegnato alla Spagna. Il primo gennaio del 2024, l’Italia ha perso Andrea Enria come presidente del Consiglio di vigilanza della Bce e nessun italiano è riuscito ad assumere, dopo Enria, un ruolo importante tra i membri del Consiglio di vigilanza, semplicemente perché l’Italia non ha presentato alcun candidato alternativo. Zeru tituli. A dicembre del 2023, il governo italiano ha provato a ottenere la guida della Bei, candidando Daniele Franco, ma anche in quell’occasione ha prevalso qualcun altro, una spagnola: Nadia Calviño. Zeru tituli. Ad aprile del 2024, il mandato del membro italiano del “Single Resolution Board”, un’influente agenzia indipendente dell’Unione europea, è scaduto (si chiama Sebastiano Laviola) e anche in questa occasione l’Italia non è riuscita a trovare un italiano o un’italiana in grado di sostituirlo. Anzi una l’aveva trovata, ma il curriculum della prescelta non è stato ritenuto idoneo, e anche qui zeru tituli.
A tutto questo poi va aggiunto anche altro, purtroppo, e va aggiunto anche il flop, annunciato, sulla candidatura di Roma all’Expo. Il flop, meno annunciato, della sconfitta italiana sull’assegnazione della futura autorità europea per la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, Amla, partita vinta dalla Germania, con Francoforte. Non è il primo governo, naturalmente, a contare poco o nulla in Europa, e anche prima del governo Meloni l’Italia ha perso alcune partite europee importanti (nel 2022, l’Italia aveva candidato Marco Buti per la successione al direttore del Meccanismo europeo di stabilità, e non se ne fece nulla; nel 2021, l’Italia si era candidata per guidare l’Esma, l’Autorità di regolamentazione e di vigilanza dei mercati finanziari dell’Unione europea, e non se ne fece nulla; nel 2017 l’Italia perse l’assegnazione dell’Agenzia del farmaco, e anche qui non se ne fece nulla).
Ma è la prima volta da molti anni a questa parte in cui l’Italia, pur avendo un governo forte, un premier forte e un’opposizione, lato Pd, forte nel proprio gruppo europeo, si ritrova a osservare la mappa delle occasioni perse con uno sguardo smarrito, tipico di chi finge di non capire, a destra e a sinistra, che alla lunga si paga un prezzo ad avere una classe dirigente debole. E che alla lunga contare un po’ meno in Europa significa creare le condizioni perfette per permettere all’Italia di essere sempre più ininfluente, sempre più laterale e sempre più pronta a fare di tutto, whatever it takes, per eccellere in una sua specialità: complicarsi la vita da sola, costi quel che costi.