Il colloquio
Cesare Salvi: “Prima di chiedere le dimissioni di Toti la sinistra doveva aspettare”
"Quando le vicende sono confuse è prematuro chiedere un passo indietro. Ma i partiti usano queste vicende per darsi addosso: sono ineleganti. Il caso ligure? Ha evidenziato che i finanziamenti pubblici alla politica servono". Parla l'ex esponente dei Ds
“In questi casi scendere in piazza e chiedere le dimissioni del presidente di turno è sempre prematuro per la politica. Ci vorrebbe un maggiore distacco, soprattutto quando le dinamiche sono poco chiare, come nella vicenda Toti. Io avrei aspettato quantomeno il pronunciamento della Cassazione sul Riesame e i domiciliari”. Cesare Salvi parla da ex uomo delle istituzioni che da tempo s’è lasciato dietro l’attività politica. In questo colloquio col Foglio premette che “per esprimermi sulle misure cautelari avrei bisogno di conoscere più nel dettaglio le carte”. Ma non rinuncia a considerazioni di principio. “Anche il caso del presidente della Liguria ci dice che la politica fa sempre questo gioco di usare le indagini per attaccare l’avversario. E’ sbagliato, è inelegante, ma purtroppo sta nella natura delle cose. E’ successo a Genova ma prima era successo a Bari, a parti invertite”, ragiona l’ex ministro del Lavoro ed esponente dei Ds. “Il punto è che la politica dovrebbe attendere quantomeno decisioni più avanzate da parte della magistratura”. E invece subito le opposizioni, dal Pd di Elly Schlein al M5s di Giuseppe Conte, hanno approfittato di questa nuova operazione giudiziaria per scendere in piazza e chiedere le dimissioni di Toti. E’ un cedimento rispetto alla propria storia garantista? “E chi lo dice che la sinistra è mai stata garantista? Non mi pare che sia così”, dice al Foglio Salvi, una delle poche voci nel campo progressista ad aver sposato posizioni “eretiche” in ambito giudiziario. Essendo per esempio a favore della separazione tra giudici e pm, una posizione espressa sin dall’epoca della Bicamerale D’Alema. “Così come non mi pare che una cultura garantista ce l’abbiano anche gli altri partiti. Certo ci sono i dovuti distinguo, le dovute differenze. Ma tutta la contradditorietà la si vede da due ministri come Piantedosi e Nordio: uno che vorrebbe punire qualsiasi fatto con nuovi reati. L’altro che si fa vanto di un approccio liberale-garantista. Ma il problema è un altro”. Quale? “L’atteggiamento mediologico che c’è nel racconto dei processi. Quando si inizia un processo chiaramente dovrebbe valere il principio di non colpevolezza. Ma con dei tempi così lunghi del processo accusatorio è chiaro che la presunzione di non colpevolezza regge molto meno, solo fino a un certo punto. Ecco perché il vero tema è l’intollerabile lunghezza della giustizia, che in realtà appassiona così poco i partiti”.
Questo è un punto, sollevato anche dalla vicenda Toti. Ma ce n’è un altro che secondo l’ex ministro sarebbe meritevole di particolare attenzione: “Questa vicenda ha scoperchiato il grandissimo problema del finanziamento pubblico ai partiti. Il presupposto è sempre che i politici dovrebbero evitare situazioni al limite della legalità. Detto questo, è chiaro che l’abolizione del finanziamento ai partiti non sta funzionando. Fu un vero e proprio capolavoro di Enrico Letta, misura che peraltro non ha spostato niente in termini di voti”. Fu un’altra decisione presa per rincorrere il populismo dei Cinque stelle? “E’ un po’ come quando facemmo la riforma del Titolo V per rispondere alle spinte autonomiste della Lega. La risposta alle richieste populiste deve essere sempre una politica seria, responsabile”. Un po’ quel che servirebbe sulla giustizia? “Per adesso vedo solo scarsi input da parte della politica. E lo ripeto, non è qualcosa che riguarda solo la sinistra, anzi”. Ci sarebbe bisogno di una specie di patto per evitare di usare i processi come una clava? “Basterebbe rispettare le regole condivise. Le inchieste che poi sono finite in nulla non sono un problema solo per gli amministratori di destra o di sinistra, ma anche per i semplici cittadini che hanno sofferto di malagiustizia. Per questo bisogna intervenire sui tempi della giustizia”. Se le dicessero che di questa vicenda potrebbe rimanere un presidente che si dimette perché “costretto” dalla magistratura e le opposizioni che hanno trasformato il tutto in un tema da campagna elettorale, quale sarebbe la sua considerazione finale? “Che la visione dell’accusa e della difesa rientrano nella normale dialettica processuale. Ma a maggior ragione perché le cose sono poco chiare avrei aspettato a chiedere le dimissioni. Almeno fino al pronunciamento della Cassazione sulla decisione del Riesame a proposito dei domiciliari. Tutto quel che è avvenuto finora è stato prematuro”.