Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron - foto Ansa

L'analisi

Il Trattato del Quirinale funziona e va oltre gli scontri

Jean-Pierre Darnis

Italia e Francia collaborano, in una cornice fatta per lavorare al di là dello stallo tra Meloni e Macron. I summit intergovernativi e i consigli dei ministri bilaterali sono andati scemando, ma la cooperazione ministeriale-amministrativa ha fatto progressi notevoli

La settimana scorsa, in occasione del ricevimento per la festa nazionale a palazzo Farnese, l’ambasciatore di Francia Martin Briens sottolineava i progressi del Trattato del Quirinale sancito dall’incontro semestrale fra il segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia e la sua omologa francese Anne-Marie Descotes. Firmato nel 2021, il Trattato del Quirinale aveva l’ambizione di alzare il livello di cooperazione fra i due paesi con strumenti di governance bilaterali che nascevano anche dall’esigenza di gestire meglio le tensioni apparse dagli anni 2000 in poi. Il Trattato del Quirinale ha avuto un andamento curioso. È stato il frutto delle crisi endemiche fra Parigi e Roma che hanno spinto a forgiare uno strumento di mediazione, come emerso nella primissimo riferimento al trattato fatto da Emmanuel Macron nel settembre 2017 in risposta a una domanda di Tullio Gianotti, inviato dell’Ansa al vertice bilaterale di Lione, che chiedeva se un meccanismo paragonabile al dispositivo franco-tedesco non fosse auspicabile. Fu così messo in cantiere dalla presidenza Macron e dal governo Gentiloni, ma l’iniziativa si arenò con il governo Conte 1. L’idea fu poi rilanciata nel corso del governo Conte 2, ma fu la grande intesa fra il tandem Draghi/Mattarella e Macron nel 2021 a fornire un quadro politico favorevole. Il seguito fu meno fortunato, con una serie di vicissitudini che hanno ostacolato la parte “politica” che avrebbe dovuto incarnare il Trattato con l’organizzazione di bilaterali governativi e la presenza incrociata di ministri ai rispettivi consigli dei ministri.
 

Con l’arrivo al potere del governo Meloni, abbiamo assistito a un’ulteriore evoluzione: sia dal punto di vista francese sia dal punto italiano è arrivata una forma di gelo politico, frutto delle volontà incrociate di marcare la propria distanza. Per Macron era importante non apparire in sintonia con una Meloni sempre in odore di estremismo secondo ampie fasce dell’opinione pubblica francese, mentre per Giorgia Meloni occorreva puntualizzare le differenze con il presidente francese, anche per non indietreggiare sull’affermazione della propria sovranità come spesso espresso nell’ambito dei dossier industriali, Stellantis in testa.
 

Da due anni a questa parte quindi, il livello politico apicale del rapporto bilaterale, quello dei summit intergovernativi e della partecipazione incrociata nei consigli dei ministri è andato perso. Paradossalmente però nello stesso momento possiamo osservare come il livello inferiore, quello ministeriale-amministrativo, abbia registrato notevoli progressi nel mandare avanti la cooperazione definita nel Trattato. I ministeri degli  Esteri, della Difesa o dell’Economia/Industria hanno sviluppato una serie di iniziative comuni, dall’accordo quadro firmato fra gli stati maggiori della difesa francese e italiana nel 2022, fino all’approfondimento della cooperazione del ministero degli affari esteri con la creazione di un diplomatico di scambio, passando anche dai bilaterali di politica industriale. Anche i ministeri di rango inferiore hanno poi valorizzato le loro iniziative bilaterali nella cornice complessiva del Trattato, spinti dal meccanismo di monitoraggio semestrale coordinato dagli Esteri. Inoltre, rileviamo la mobilizzazione di altri attori, come le collettività territoriali che spingono per la cooperazione transfrontaliera o attori economici che si impegnano in vari forum (Confindustria e il Medef ne hanno organizzato uno a giugno).
 

Il Trattato del Quirinale sta quindi producendo risultati, e osserviamo il rafforzamento di una consuetudine istituzionale bilaterale, già osservata da decenni nel caso franco-tedesco. Bisogna sottolineare che a livello ministeriale bilaterale i rapporti sono spesso costruttivi, da questo punto di vista va ricordato ad esempio il buon lavoro svolto fra Matteo Salvini e Clément Beaune oppure l’andamento dei bilaterali fra Guido Crosetto e Sebastien Lecornu, al di là delle proprie polarizzazioni politiche.
 

Certamente questo bicchiere mezzo pieno ha qualcosa di paradossale. L’assenza del livello apicale rappresenta anche un deficit importante: nel contesto internazionale reso difficile dalla guerra in Ucraina ma anche dagli interrogativi sul futuro della relazione transatlantica, una maggiore coesione europea sembra più che mai necessaria. Il buon funzionamento del Trattato sembra indicare l’opportunità di accrescere ulteriormente i meccanismi di dialogo italo-francesi. D’altro canto la linea politica di Fratelli d’Italia nel parlamento europeo riflette la difficoltà a stabilire un rapporto diretto con il presidente Macron e il cancelliere Scholz. A Parigi il nuovo assetto politico diviso in tre blocchi che si sta delineando nel Parlamento può  essere interpretato nel contesto europeo come un richiamo a riprendere a livello interno i contorni della “maggioranza Ursula”. Iniziato nel 2022, il dispositivo del Trattato del Quirinale sembra in grado di raggiungere lo stesso livello di quello franco-tedesco, una prospettiva per certi versi ancora non completamente compresa ma che dovrebbe rappresentare un concretissimo obiettivo sia a Roma sia a Parigi. Permetterebbe anche di contribuire a  svincolare progressivamente il rapporto italo-francese dall’andamento delle relazioni personali fra i propri leader,  una soluzione all’attuale stallo  fra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni.
 



Jean-Pierre Darnis è autore di “Transalpini, le relazioni tra Francia e Italia e il rilancio del gioco europeo” pubblicato con la Luiss University Press.

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