L'editoriale dell'elefantino
Per Calenda è giunta l'ora di sporcarsi le mani
Limitarsi al ciò che non vogliamo è montalismo poetico e impolitico. Il leader di Azione si è posto l'obiettivo di formare un piccolo spicchio di una generazione vogliosa di politica seria e responsabile. Ma resta poco chiaro come intenda procedere, dopo aver verificato quanto sia difficile filosofare prima di vivere
Carlo Calenda è come sempre inappuntabile. Che gli vuoi dire? La foto calcistica di Renzi e Schlein abbracciati e il raggruppamento pallonaro con La Russa sono effettivamente spettacolo o avanspettacolo, se si voglia essere maligni. Renzi è fin troppo veloce nel percorso a ostacoli verso la grande alleanza a sinistra, M5s compreso, con tanti saluti alle praterie del centro più o meno macroniano, anche se a leggere il bel libro Marsilio di Kaplan sul medio oriente pare di capire che sul rinascimento saudita, dispotico e modernizzatore, aveva ragione lui, M5s e MbS. Eppoi a Calenda, prima di rivotarlo alle europee dopo Roma, e che bello poterlo dire a cose fatte e a batosta incamerata sui denti, avevo consigliato con modestia la via di un lamalfismo del XXI secolo, addirittura: aggregarsi e stabilizzarsi non essendo nel suo stile, mescolare i suoi ottimi argomenti politici e programmatici con le accozzaglie non essendo nei suoi propositi, meglio un “azionismo” di piccolo gruppo magari severo e indisponibile, qualche volta indisponente, di una continua ricerca di alleanze e poli e patti che poi tipi come lui non possono mantenere o non vogliono, se non a certe condizioni, le sue. D’accordo. Un po’ si capisce, un po’ ci si adegua.
C’è un limite. L’intralcio moralista. La serietà al governo è un bello slogan, senza esagerare, politics is fun, come si sa, e di governo e Parlamento si deve parlare con serietà, certo, eppure concedendo qualcosa allo spettacolo o avanspettacolo delle combinazioni, non chiamiamole alleanze, utili o meno disutili del necessario. Calenda trova respingente la partitella del cuore e non vuole mettersi a fare “il cespuglio dei populisti per quattro seggi in Parlamento”. Ma quattro seggi, quelli più o meno di La Malfa negli anni aurei del centrismo e poi del centrosinistra, erano considerati senza degnazione, senza sussiego morale. Una volta, quel siciliano focoso e intelligente che sapeva di programmi e programmazione, che si era alleato con la Dc dandole la baia e con le sinistre in epoca non sospetta, che delirava di piacere nel denunciare i sindacati che avevano rovinato il mercato del lavoro e l’Italia, che faceva sempre il suo e solo il suo nella cultura politica italiana dell’epoca, si aggrappò perfino a quel fantastico ma controverso personaggio che era il palermitano Aristide Gunnella per ottenere “quattro seggi in Parlamento”. Tra zero e quattro c’era la differenza politica, mai inappuntabile in sé, che gli consentiva di far scattare un quorum e di esistere. Pazienza se con gesti che i puristi del suo campo consideravano arbitrari o sospetti o questionabili in massimo grado.
Esistere, esistere, esistere. Limitarsi al ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, è montalismo poetico e impolitico. L’idea di formare a buone idee un piccolo spicchio di una generazione vogliosa di politica seria e responsabile non è affatto disprezzabile, Calenda ha fatto su questo un investimento che non si può considerare con abietto cinismo. Non è chiaro come intenda procedere, dopo aver verificato quanto sia difficile filosofare prima di vivere. Se eliminasse un tanto di impeccabilità, e si desse una sporcata alle mani candide con le quali agisce nel teatro del politico, forse darebbe un contributo meno effimero al lamalfismo militante dei nostri tempi, e giustificherebbe un soggetto esistente e efficace nel perseguire i suoi scopi. Non che gli scopi siano sopra ogni tipo di mezzo, ma nemmeno sotto.