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Ritardi di governo

“I centri migranti in Albania? Soltanto dieci giorni di ritardo”, ci dice Crosetto. Ma a Chigi accusano la Difesa

Francesco Gottardi

Ultimo si aggiunse il caldo, il terreno poco edificabile. E così le strutture indicate dal protocollo Italia-Albania non saranno pronte prima di fine agosto, spiegano dai ministeri. Piccolo intoppo: Giorgia aveva detto tre mesi prima

Roma. Sarà il gran caldo, la conformazione del terreno. Sarà quel che sarà, ma i centri di accoglienza che il governo Meloni ha progettato in Albania devono ancora vedere la luce. La data cerchiata in rosso da Giorgia Meloni per l’entrata in funzione doveva essere il 20 maggio. Oggi sta finendo luglio. E Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha dichiarato al Tg1 che “a causa di alcuni problemi l’iniziativa sarà a pieno regime nel giro di qualche settimana”. Nemmeno domani. E così a Palazzo Chigi sono arrabbiati con Crosetto, pare. “Dieci giorni di ritardo”, specifica al Foglio il ministro della Difesa (leggasi: dieci di ulteriore ritardo). All’epoca tra lui e la premier c’era stato un significativo confronto, nel quale Crosetto insisteva che la supervisione sui lavori in Albania non era cosa da genio militare. Ora, dalla Difesa al Viminale, tutti smentiscono ogni screzio. Anzi, non fanno drammi: meglio fare le cose per bene anziché procedere a marce forzate, è la linea guida. Eppure persiste lo slittamento, la smentita dei fatti alle parole di Meloni. E mica di qualche giorno.

 

A sentire i due dicasteri targati FdI va tutto a gonfie vele, lo ribadiamo. Nessuna criticità sul progetto. Massima collaborazione e sintonia, non solo tra Crosetto e Piantedosi, ma anche fra i relativi staff. Che s’intendono e si spalleggiano. I lavori procedono sotto la supervisione del ministero della Difesa, poi alla consegna del bene vi subentrerà l’Interno per la gestione ordinaria. E questo è quanto. La struttura ricettiva di Shengjin (sul mare, per la primissima accoglienza) è già pronta. L’altra a Gjader (nell’entroterra, 20 km più a nord, agirà da centro di permanenza e rimpatrio) non lo è ancora a causa di una “problematica configurazione del terreno riscontrata a scavi in corso, che ha richiesto il consolidamento delle fondamenta”. Poi, appunto, il meteo. Le alte temperature che in queste settimane coinvolgono anche l’Albania hanno richiesto comprensibilmente di rivedere la giornata lavorativa, con pause dalle 12-17 per non mettere a rischio la salute degli operai. Insomma, ribadiscono da entrambi i ministeri: nessuna bega di natura giuridica o amministrativa. Soltanto minimi imprevisti. Di recente ha fatto pure visita al cantiere il presidente albanese Edi Rama, a ulteriore riprova di sinergia fra le due nazioni. “Tirana ci ha messo a disposizione tutto il possibile”, la conferma meloniana dall’altra parte dell’Adriatico (figuraccia doppia, allora). Sintesi: entro fine agosto – poco più, poco meno, sicuro prima dell’inverno – il protocollo Italia-Albania troverà piena realizzazione operativa.

Eppure date e cifre non tornano. Oggi secondo il Viminale, lo slittamento è dovuto principalmente ai tempi – “legittimi”, ci tengono a sottolineare – della Corte costituzionale di Tirana, chiamata a pronunciarsi sulla conformità del progetto. Bene: la Corte si è espressa a febbraio. Mentre la deadline del 20 maggio era stata ribadita anche qualche settimana più tardi, il 21 marzo scorso, dalla prefettura di Roma. Cioè dal Viminale stesso. Quindi in sostanza, per un’iniziativa da portare a termine nel giro di sei mesi – gli accordi erano stati firmati il 6 novembre 2023 – alla fine ce ne vorranno nove. Il 50 per cento in più. Per ora.

Ma quel che conta è l’idea, suvvia. Pazienza i numeri. Il protocollo prevede che le due strutture sul suolo albanese consentano a far transitare fino a 36 mila migranti l’anno. Questo non significa che agiranno sempre a pieno regime, d’accordo. Il punto a che a 36 mila non ci si arriverà nemmeno vicini. Lo evidenzia un’interessante analisi del centro studi OBC Transeuropa: considerata la capienza effettiva dei due centri, la spesa giornaliera per persona e i 34 milioni di euro annui stanziati per la loro gestione, non potranno venire ospitati più di 8-9 mila migranti l’anno. Un altro ordine di grandezza, dunque. Mentre restano pesantissime – quelle sì – le cifre sottolineate da Openpolis sul costo dell’operazione: oltre 650 milioni di euro complessivi, di cui più della metà però (350) destinati alle trasferte dei funzionari italiani e al noleggio delle navi. Il Viminale insiste: non vanno tanto considerati i migranti effettivi potenzialmente coinvolti dal progetto, ma l’effetto deterrente su chi deciderà di non partire più. “15 stati europei ci chiedono informazioni, anche la Germania”, rilancia Mantovano. Di più. “Saremo un modello per l’intera Unione europea”. Parola di Giorgia. Crosetto altro non aggiunge. Altro mai aveva detto sull’Albania, a pensarci bene.

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