Giorgia Meloni vuole privatizzare un po' di Rai

Claudio Cerasa

Meno politica in Rai, più Rai sul mercato. Dopo Ferrovie, Poste, Mps e Rai Ways, la premier studia una mossa a sorpresa per salvare la Rai dai suoi debiti e ribaltare la narrazione su Tele Meloni. Notizia e dita incrociate

Nell’agenda politica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, c’è un colpo a sorpresa che potrebbe cogliere alla sprovvista tanto l’opposizione quanto la maggioranza. Un colpo a sorpresa, e clamoroso, che riguarda una tentazione esplicita che la premier sta accarezzando da alcuni giorni e che potrebbe diventare uno degli argomenti centrali della prossima legge di Stabilità. Tre parole: privatizzare la Rai. Nonostante una certa dimestichezza con il vocabolario del sovranismo, diciamo così, il verbo privatizzare, negli ultimi mesi, è stato evocato da Giorgia Meloni in diverse partite. Nell’ultima legge di Stabilità, il governo ha fissato entrate, per lo stato, pari a venti miliardi di euro, da ottenere attraverso la cessione del 4 per cento di Eni (già avvenuta), attraverso la cessione di una quota che potrebbe arrivare fino al 29 per cento di Poste (percorso avviato lo scorso 25 gennaio), attraverso la privatizzazione di Mps (prevista entro la fine del 2024), attraverso la privatizzazione delle Ferrovie dello stato (sarà interessante capire se il nuovo amministratore delegato, Stefano Antonio Donnarumma, deciderà di accelerare o rallentare il percorso) e attraverso la cessione di una quota di Rai Way (nel gruppo che gestisce le torri di trasmissione, il cui 65 per cento è nelle mani del gruppo Rai, lo stato non scenderà sotto il 30 per cento).

   

Ma non ci vuole molto a capire che, nel caso della Rai, l’evocazione improvvisa dello scenario della privatizzazione è qualcosa di più di un semplice ragionamento di natura contabile e assomiglierebbe invece a una svolta insieme politica e culturale. Politica perché mentre gli avversari di Meloni accusano la premier di voler monopolizzare il servizio pubblico trasformandolo in una discarica del melonismo, la premier, con una mossa di questo genere, cambierebbe la narrazione, come si dice, e imboccherebbe una traiettoria opposta: non mettere più politica in Rai ma, al contrario, mettere un po’ di Rai sul mercato, per togliere un po’ di politica. La formula su cui ragiona Meloni è ancora vaga, con qualcuno la premier si è spinta a dire che la privatizzazione ideale coincide con il 50 per cento della Rai.

 

Ma più che la formula ciò che conta è il ragionamento che potrebbe spiazzare anche i suoi alleati, alcuni dei quali, come Forza Italia, e come la famiglia Berlusconi, ovviamente, potrebbero essere preoccupati dall’idea di avere una Rai in futuro maggiormente desiderosa di competere con Mediaset sul mercato pubblicitario. C’è la politica, dunque, c’è la volontà, in questo caso saggia, di voler dimostrare che il governo potrebbe fare l’opposto di quello di cui lo accusano gli avversari, e c’è poi però anche la consapevolezza che andare nella direzione di una robusta privatizzazione della Rai è una strada inevitabile per tutti coloro che hanno un minimo di contezza su un tema delicato, drammatico, che è l’indebitamento accumulato negli anni dalla Rai. L’ultimo bilancio approvato dalla Rai vede un indebitamento netto pari a 568 milioni di euro. Una cifra in calo rispetto ai 660,5 milioni di euro del 2022 ma una cifra che resta comunque mostruosa e che giustificherebbe un ricorso al mercato. L’evocazione della privatizzazione della Rai, lo sappiamo, è un topos, un elemento ricorrente, di ogni governo, ed è almeno dal 1995, dai tempi del referendum proposto dai Radicali e dalla Lega nord per aprire la Rai ai privati, che le forze politiche, a un certo punto della loro vita, si trovano di fronte alla domanda delle domande: che fare in Rai?

  

La tradizione vuole che la richiesta di privatizzare la Rai, “di togliere la politica dalla Rai”, avvenga regolarmente quando i partiti in questione si trovano all’opposizione, e quando cioè, oltre a non poter lottizzare, non hanno il potere di fare quello che suggeriscono di fare (TeleMeloni non è lo specchio della violenza preponderante del melonismo ma è lo specchio di quello che fanno tutti i leader politici che arrivano al governo: usare la Rai per proiettare i propri colori politici, per piazzare i propri amici, per far emergere i giornalisti più vicini alle proprie scuderie, nulla di nuovo, purtroppo).

 

Mercoledì prossimo, ha detto ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, i presidenti di Camera e Senato cercheranno di fissare una data per eleggere i 4 membri Rai del cda eletti dal Parlamento, in scadenza. E chissà se quando si ritroverà a muovere le pedine della Rai del futuro Meloni darà seguito alla sua idea: togliere un po’ di politica da Viale Mazzini e mettere un po’ di Rai sul mercato. L’idea c’è. Le dita incrociate, le nostre, pure.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.