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la parabola

La nemesi di Salvini. Nel 2022 fallì come kingmaker per il Colle e votò Mattarella. Che adesso pizzica più lui di Meloni

Luca Roberto

Il capo dello stato anche nella cerimonia del Ventaglio ha punzecchiato il vicepremier e il Carroccio. Nonostante fossero tra i fautori della sua rielezione nel 2022

Da una parte li ha punzecchiati sulla stretta attualità parlamentare: “Spero si possa ancora dire sindaca”. Dall’altro, li ha richiamati per gli atteggiamenti da cheerleader di Trump:Rimango sorpreso quando si dà notizia o si presume che vi possano essere posizionamenti a seconda di questo o quell’esito elettorale, come se la loro indubbia importanza dovesse condizionare anche le nostre scelte”. Per non parlare del monito sulla necessità di sostenere l’Ucraina, su cui loro si mostrano da sempre freddini. E insomma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso dell’ultima cerimonia del Ventaglio al Quirinale, è stato prodigo di messaggi nei confronti della Lega e di Matteo Salvini. Che nelle scorse ore deve aver ripensato alla scelta di sostenerne il bis due anni e mezzo fa. Quasi si stia adesso materializzando sotto ai suoi occhi una specie di nemesi.

 

Come racconta al Foglio un conoscitore delle dinamiche che salviniane e leghiste come Gianluigi Paragone, “all’epoca il segretario della Lega la conferma di Mattarella l’ha subita. Ed è chiaro che i rapporti non è che possano cambiare più di tanto”. In effetti alla fine di quel gennaio 2022, il leader del Carroccio si autoproclamò kingmaker nella partita per il Colle. Prima fu l’ispiratore della rosa di cinque nomi proposti dal centrodestra. Poi brigò per le alternative più disparate. Qui al Foglio facemmo uno scoop: pranzò a casa di Sabino Cassese, ai Parioli, lui che forse nemmeno sapeva fino a poche ore prima dell’esistenza del giurista, per chiedergli una disponibilità di massima. Non prima di aver incontrato Mario Draghi in un appartamento di via Veneto. Negli stessi giorni tesseva frequentazioni con le opposizioni per spingere la candidatura di Giulio Tremonti. E poi invece con Giuseppe Conte s’accordava sulla figura di “una donna per il Colle” come Elisabetta Belloni. Tutte ipotesi bruciate in un climax ascendente di tensioni per una coalizione, il centrodestra, che partiva con il favore dei numeri in Parlamento. E che quindi, come usa dire, aveva “il pallino in mano”.

 

Così la mattina del 29 gennaio, con gli occhi gonfi e la cravatta storta, in Transatlantico i cronisti appostati vicino ai divanetti vedendolo passare quasi non ci credettero, all’inizio, alla dichiarazione spontanea del leghista: “Rivotiamo Mattarella”. L’allora leader dell’opposizione Giorgia Meloni rimase allibita: “E’ un bis per tirare a campare. Ancora una volta il Parlamento dimostra di non essere all’altezza degli italiani che dovrebbe rappresentare”, disse. Dando a intendere che la costruzione del centrodestra sarebbe potuta venire meno.

 

Avanti veloce a luglio 2024 e ci accorgiamo che però con Mattarella si trova in disaccordo molto più Salvini, che l’ha votato. E non Meloni, che non l’ha sostenuto. In occasione dell’ultima Festa della Repubblica Mattarella “osò”,  agli occhi dei leghisti, parlare di sovranità europea. Apriti cielo: il senatore Claudio Borghi chiese le dimissioni. Spalleggiato dallo stesso Salvini che rincarò il concetto. Al punto che Meloni, che con  l’inquilino del Colle intrattiene un rapporto istituzionale ispirato alla massima collaborazione, dovette chiedere all’alleato: scusati subito col presidente. Solo un paio di settimane fa ancora un’altra reazione leghista alle parole di Mattarella. Il capo dello stato parlò della necessità di avere garanzie contro la dittature della maggioranza. E Salvini? “Semmai in Italia c’è una dittatura della minoranza”. Anche lì non si dovette attendere troppo perché Meloni chiedesse al suo vicepremier di abbassare i toni.

Sarà anche per questo che in quest’ultima occasione il ministro ha evitato proprio di commentare le parole del capo dello stato. “Ma anche perché sotto a un presunto carattere un po’ algido, Mattarella è un uomo molto ironico”, riflette un democristiano di lungo corso come l’onorevole Gianfranco Rotondi. “Se Salvini si è pentito di averlo sostenuto due anni fa? Non credo. All’epoca fece una scelta. Sapeva che sarebbe stato meglio avere un presidente moderato, poteva capitargli uno molto più interventista. Quando dice di essere equidistanti sulle elezioni americane, Mattarella sta solo recuperando la lezione democristiana”. Eppure chissà se Salvini, dopo averci provato con Marcello Pera, Letizia Moratti, Carlo Nordio, Mario Draghi, Sabino Cassese, Elisabetta Belloni, Giulio Tremonti e chissà quanti altri, nel profondo non si sia pentito di aver voluto controllare una partita che ha poi finito per controllare lui. Facendo rimanere alla guida dello stato una figura che è capace persino di derubricare le proposte della Lega in Parlamento a scherzo di cui sorridere.

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  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.