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Fare acqua ovunque

La crisi idrica è una crisi politica, non climatica, e la destra ora ne è gravemente complice. Ecco perché

Matteo Renzi

L'emergenza siccità in Sicilia è data dall'immobilismo della politica e dalla burocrazia farraginosa e inconcludente. In Italia non manca l'acqua, mancano le infrastrutture. Questo, unito alla variabilità delle precipitazioni, porta ai danni che stiamo vedendo. Ci scrive l'ex premier

La crisi idrica che sta colpendo il paese e in special modo la Sicilia è soprattutto una crisi determinata dall’immobilismo della politica e da una burocrazia farraginosa e inconcludente. La politica dovrebbe occuparsi di questo anziché rincorrere la polemica social del momento. Partiamo da un assunto: in Italia non manca l’acqua, mancano le infrastrutture dell’acqua. Il “dono dell’acqua” si manifesta sulla nostra penisola con 296 miliardi di metri cubi all’anno. Certo, c’è poi la forte variabilità di precipitazioni soprattutto nell’ultimo ventennio con scarti di piovosità tra regioni e territori interni alle regioni.
 

E negli ultimi 24 anni, le fasi di siccità  in Italia sono state molte. Si stima che abbiano prodotto circa 20 miliardi di danni, compensate da eventi sempre più estremi  con temporali ciclonici come l’ultimo che ha colpito i paesi tra Piemonte e Val d’Aosta. I picchi di riscaldamento globale mai visti nel bacino del Mediterraneo ci vedono oggi al quinto anno consecutivo di temperature più alte di sempre, rendendo evidente la necessità di tirare fuori dai cassetti il “Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, adottato mesi fa dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ma scomparso dai radar.
 

Ma, insomma, tra i 27 paesi dell’Ue siamo pur sempre al quinto posto per piovosità media. I dati Istat, al contempo, ci dicono  che sono 7,6 i miliardi di metri cubi di perdite complessive. L’approccio quindi, deve essere pragmatico e deve avere uno sguardo di lungo periodo. Siamo un paese troppo spesso abituato a lamentarsi ignorando i problemi, a piangere le vittime anziché lavorare sulla prevenzione. Accade con l’ambiente, accade con la sanità. La politica cerca il consenso immediato nel presente  anziché guardare al futuro. La lunga crisi idrica in Sicilia che continua ancora oggi, si spiega “semplicemente” con un deficit clamoroso di stoccaggio di acqua da colmare il prima possibile con il ritorno degli investimenti per gli invasi. Le nostre 526 grandi dighe hanno una capacità di stoccaggio pari a 13,6 miliardi di metri cubi di acqua. Ma volumi autorizzati dal ministero delle Infrastrutture sono pari a 11,9 miliardi di metri cubi. E i volumi realmente invasati sono pari a 8,8 miliardi di metri cubi. Questo significa che la perdita di risorsa accumulabile è di circa 4 miliardi di metri cubi. Un dato spaventoso. Noi dovremmo quindi  accumulare acqua quando piove per poi riutilizzarla. E intervenire sulle perdite dalle reti di distribuzione, intorno al 42 per cento, con conseguenti sprechi di lavoro e di energia per la loro spinta nella conduzione. Saremmo un paese molto fortunato, nel quale ogni problema idrico potrebbe essere facilmente superabile se solo fossimo in grado di adeguare i nostri sistemi e schemi idrici.
 

Il ministro Salvini, una decina di giorni fa ha presentato un “Piano nazionale per gli interventi nel settore idrico”. Ci ha comunicato che costerebbero circa 13 miliardi di euro le 562 infrastrutture elencate, indispensabili e frutto del decreto attuativo interministeriale 350 dell’ottobre 2022 che, in piena siccità, portò al “bando dei fabbisogni”. Delle 562 opere ne sono state selezionate 521, classificate per categoria e per urgenza, definendone “ammissibili”, cioè pronte per essere progettate e realizzate, 418 per un importo complessivo pari a circa 12 miliardi di euro. Peccato che l’impegno finanziario, a due anni dal bando, al momento riesca a coprire nemmeno l’8 per cento del totale degli interventi. È stata, infatti, individuata dal Pnrr la cifra di 946,6 milioni di euro più altri 50 per incentivare progettazioni, finora non spesa. Il restante 92 per cento dell’investimento in opere urgenti? Lo ha rinviato  alle prossime annualità, spiegandoci che arriverà “man mano che risorse di varia natura potranno rendersi disponibili”. Con calma, nei prossimi decenni! Intanto il racconto della Sicilia in balìa delle autobotti e delle reti idriche inesistenti  fa il giro del mondo. L’isola viene descritta come isola assetata e con i turisti in fuga. Un’isola dove agricoltori e allevatori pagano fino a 250 euro l’acqua di una autobotte, con perdite al 75 per cento nelle produzioni di grano, cereali e foraggi, con città in ginocchio e con Agrigento, dove manca l’acqua per giorni che sta rinunciando a essere Capitale della Cultura 2025 per incuria e inerzia del governo regionale. È dal 12 marzo che il presidente Schifani ha firmato l’ennesimo “Stato di crisi e di emergenza per l’acqua potabile fino al 31 dicembre”.
 

Questa è la vergogna di una regione con scarse infrastrutture primarie come depuratori e acquedotti, nonostante i miliardi di fondi nazionali inviati dallo stato, e anche dal mio governo, mai spesi. Siamo di fronte al fallimento più evidente dei governi di Rosario Crocetta e Nello Musumeci. Nel frattempo, l’Italia sta pagando nell’indifferenza del governo 125.000 euro al giorno di sanzioni per le prime due condanne della Corte di giustizia europea per mancanza di depuratori allacciati alle reti fognarie comunali. Siccità, dissesto idrogeologico, infrastrutture: inutile stanziare fondi, soldi pubblici pagati dalle tasse degli italiani, se poi non vengono spesi o peggio sprecati nell’inseguire l’emergenza.
 

Matteo Renzi è ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva

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