L'intervista

Meloni (Pd): "L'affidabilità di Renzi è nota, ma Schlein fa bene ad allargare. Letta? Sta dando un contributo alla Ue"

Simone Canettieri

Il senatore e fedelissimo dell'ex segretario dem: "Non dobbiamo ripetere gli errori del passato, la destra si sconfigge con una grande coalizione"

Niente da fare. Enrico Letta non vuole parlare del foto dell’estate: l’abbraccio turbo politico Schlein-Renzi. Ma Marco Meloni sì. L’ex coordinatore della segreteria del Pd, lettiano di ferro, è cauto sul leader di Italia Viva, ma apre allo schema.

Senatore Meloni, cosa ha pensato quando ha visto le immagini della Partita del cuore?

“Che il calcio, e lo sport in generale, uniscono sempre”.

Ma politicamente quali consigli dà alla segretaria del Pd: può stare serena con l’ex rottamatore ?

“L’affidabilità di Renzi è quella che è. Ma ora il tema è un altro”.

Cioè?

 “Non riguarda solo Renzi: conta il futuro, conta non ripetere gli errori del passato”.

Le divisioni intende?

“La destra estrema al governo, di cui si coglie ogni giorno di più il disegno di appropriazione totale del potere e di sovvertimento dei principi costituzionali – a partire dalla negazione dell’antifascismo come ragione fondante della Repubblica, per continuare con la Legge Calderoli che spacca in due l’Italia e il premierato assoluto – si sconfigge con una grande alleanza delle forze progressiste e democratiche”.

Per essere pragmatici,  la cosiddetta “emergenza democratica” può davvero giustificare un’alleanza da Fratoianni a Renzi: non si rischia l’effetto Unione prodiana? E manca ancora Calenda...

“L’attuale legge elettorale disegna un necessario bipolarismo.  Chi vuole spaccare il capello in quattro consegna il Paese a chi non si pone problemi di coerenza. Le sembrano uniti i partiti che sostengono il governo?”.  

A parole no, nella sostanza governano regioni e città da anni, però.

“E comunque, non c’è solo l’emergenza democratica, ci sono i problemi e le speranze degli italiani”.

E quindi quali sono le fasi da seguire di processo unitario?

“Ora abbiamo qualche anno per definire i punti essenziali per una legislatura di buon governo, fondato sulla crescita sostenibile e la lotta alle diseguaglianze sociali e territoriali, con scuola, sanità e lavoro al centro. L’impegno comune su sanità e salario minimo è un’ottima base di partenza”.

Al di là dei nomi, e sorvolando per un secondo sui temi, c’è spazio per un’area moderata e liberal vicino al Pd?  Esiste un mercato elettorale da aggredire?

“Anzitutto le elezioni europee ci dicono che il Pd è il baricentro dell’alternativa, e la nettezza della linea impressa da Elly Schlein, fondata su una moderna agenda progressista, lo renderà sempre più attrattivo anche nei confronti degli elettori riformisti. Non appaltiamo certo ad altri la loro rappresentanza”.

Detta così la sua sembra  una marcia indietro: ci ha già ripensato?

“Affatto.  Una cosa non esclude l’altra.  Ciò non significa che non potranno esserci anche altre forze, più liberali, capaci di rafforzare la nostra coalizione”.

Strano partito il suo dove gli ex segretari preferiscono non parlare più del Pd. Il caso di Letta è abbastanza singolare, non trova? E Zingaretti poi è stato spedito a Strasburgo.

“Gli ultimi ex segretari del Pd stanno dando un grande contributo al futuro dell’Ue, al quale il destino dell’Italia è indissolubilmente legato”.

Quando Letta era premier e quando poi è stato segretario del Pd ha avuto a che fare molto con le mitologiche correnti del Pd, una sorta di Fosse delle Marianne, almeno nella percezione politico-giornalistica.  Ma alla fine le correnti non sono un arricchimento nel dibattito interno se non votate solo a guerre e potere?  

“Certo. Sulle correnti, non ho cambiato idea rispetto alla stagione in cui sono stato più impegnato al Nazareno: in un grande partito le aree culturali esistono naturalmente”. Sta per aggiungere un ma. “Se le correnti sono invece   militarmente organizzate in tutto il territorio nazionale alla fine risultano dannose, e spesso anche inutili. Per arrivare più forti e preparati alla sfida del governo serve un partito nuovo, non nuove correnti”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.