Il caso

La nomina di Mazzotta a Fincantieri fa scontrare Crosetto e Giorgetti. Il silenzio del Quirinale

Carmelo Caruso

Si attende per oggi la "cooptazione" del Ragioniere dello stato alla presidenza della partecipata, a pesare sulla decisione la freddezza del Colle. Al suo posto sempre più accreditata la soluzione Perrotta. I mugugni della Difesa

Roma. Sta per vincere le olimpiadi di “piagnone di stato”: Biagio Mazzotta, il ragioniere dei 500 (mila euro) stile libero. Il prossimo che lo chiama “servitore” gli paghi almeno i fazzoletti. Per lasciare la Ragioneria a Daria Perrotta (Giorgetti avrebbe scelto lei) si fa consegnare la presidenza di Fincantieri (500 mila euro circa l’anno), scatena una guerra tra ministeri, Difesa contro Mef, continua a telefonare ai giornali per raccontare che il buco “Superbonus non è colpa mia”, ingolosisce i cronisti con i suoi studi: “Ho delle cosine da dire...”. Servitore, di cosa? Altri due giorni da ragioniere ed è capace di chiedere le spese per il trasloco. Cosa altro ancora gli si deve dare?  Fincantieri approva oggi la relazione semestrale e si attende un cda straordinario per “cooptare” Mazzotta  come presidente, uno che ha problemi con i conti del Superbonus, ma che alza il suo. Per lasciarsi accompagnare alla porta, dimettersi, e lo diceva ai suoi collaboratori, ha preteso una sorta di riabilitazione storica: “Non me ne vado se la politica non si carica la colpa”. Ha infatti ricevuto la carezza di governo, il balsamo per le  ferite. Giorgetti, rispondendo all’Ansa, ha parlato di Mazzotta come “servitore dello stato” e per quanto riguarda il Superbonus ha ricordato che le responsabilità sono anche dei partiti “perché è troppo comodo dare tutta la colpa alla Ragioneria”. Il ministro dell’Economia lo aveva già difeso in passato, più volte, ma a Mazzotta non bastava. Desidera l’immunità del secolo. Da sei mesi  fa carotaggi, esperimenti. Tutte le volte che riceveva una critica attendeva che dal Quirinale si alzasse una ciglia a sua difesa. Un altro che pensava lo difendesse era Mario Draghi che in verità non ha mai detto, a suo favore, una parola. Quando Mazzotta capisce, e lo capisce un mese fa, che il Quirinale non si sarebbe opposto alla sostituzione, inizia a trattare come si trattano le spugne a Marrakech. Rifiuta la presidenza di Ferrovie, accetta Fincantieri, ma ora è il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ritiene questa nomina non adatta al profilo di Mazzotta, il piagnone medaglia: ha sequestrato  lo stato, (“Non me ne vado”) e dallo stato vuole le scuse.


Da quando una partecipata come Fincantieri, da sempre affidata ad ambasciatori e generali in congedo, viene presieduta da un ragioniere? Dato che Mazzotta sarebbe un grande amico di Crosetto non avrà problemi a farsi spiegare perché il ministro della Difesa ritiene sbagliato (e lo ritiene) destinare Mazzotta a questa società anziché a una meno industriale. Per rimuovere il piagnone di stato si rischia dunque di sollevare il malumore dei Corpi, esercito, marina, e non si ha neppure la promessa di un patto di lealtà. La struttura del ministero è già sobillata contro la futura ragioniera, Perrotta, che ha la sola colpa di prendere il  testimone. E si smetta, per favore, di descriverlo come un povero funzionario maltrattato. Mazzotta non ha avuto l’eleganza di Alessandro Rivera, l’ex dg del Tesoro, il primo alto funzionario a essere stato sollevato dal governo Meloni e che si è cercato un nuovo lavoro.  Per molto meno,  Daniele Franco, altro ex ragioniere di stato, minacciò le dimissioni, Roberto Garofoli, ex capo gabinetto del Mef, si è dimesso con nobiltà. Si può fare, si può dire ‘no’. Gliel’ha spiegato anche Francesco Giavazzi,  sul Corriere, lui che di Draghi è l’amico essenziale, che un ragioniere non è un piagnone. Mazzotta lascia triplicando lo stipendio, avvelenando i pozzi. Non finisce a Sant’Elena, in esilio, ma finirà per vendere  le sue “Memorie di un buco”. Dopo Fincantieri si farà assegnare  anche il Premio Strega.
Carmelo Caruso

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio