A Venezia il centrosinistra cerca di non litigare per provare a rivincere in città

Enrico Veronese

Il fronte largo progressista si è autoconvocato a Cannaregio in una ribollente chiesa sconsacrata, al fine di posare la pietra angolare della sfida alla destra alle prossime elezioni

Come un insperato bonus vitale ai videogiochi, la crisi giudiziaria che sta investendo la guinta di Luigi Brugnaro viene colta dal centrosinistra veneziano per provare a riprendere le redini del Comune dopo nove anni. Il fronte progressista batte il ferro caldo con il friccico di chi voterebbe domani: prima un’assemblea di piazza, lanciata dai movimenti antagonisti (con molti giovani) e sposata solo in un secondo momento dalla politica ufficiale. 

Lunedì, invece, sei gruppi consiliari e undici partiti di opposizione, due contenitori civici e innumeri comitati di quartiere si sono autoconvocati a Cannaregio in una ribollente chiesa sconsacrata, al fine di posare la pietra angolare: il libraio ed editore Giovanni Pelizzato evoca il giuramento della Pallacorda, per la suggestione del luogo e data la rassicurante promessa di unità. 

Pletore di prenotazioni al microfono, due minuti per ogni interesse diffuso, nella “migliore” tradizione degli speakers’ corner orizzontali. Tante persone in piedi e fuori dalle porte, età media di oltre cinquant’anni, schegge di piccoli apparati o comunque reduci dall’ennesima sconfitta ancora scritta in viso. All’esterno i capannelli, poco mescolati e per niente agitati, tra mozzarelle rifritte e torme di overturisti. I post adolescenti solcano la laguna sopra barchini velocissimi, nonostante le lusinghe del Festival della Politica a loro rivolto: anni luce lontani da qui, dove “le cose ce le diciamo sempre e solo tra noi”, ammonisce l’architetto Giovanni Leone. 

 

     

Azione per ora non aderisce, ma da Rifondazione a Italia Viva, dai radicali a propaggini moderate c’è quanto basta per parlare di campo largo - uno in più nella toponomastica cittadina - e fingere che le reciproche diffidenze non esistano più. “Ho l’impressione che sia l’ultimo convivio del capitolo precedente, non il primo di una nuova era”, commenta Pier Paolo Scelsi, curatore d’arte contemporanea in Giudecca, seduto in prima fila. Praticamente l’alba dentro l’imbrunire. 

E al di là della facciata, il consigliere Andrea Martini non le manda a dire, auspicando le primarie e chiedendo autocritica a chi nel 2015 sabotò Felice Casson, sia all’interno della coalizione che con riferimento al Movimento 5 stelle, oggi parte dell’assemblea: le polemiche con un attivista dem in platea vengono stroncate sul nascere, ma rimangono a viziare l’aria.

Il gruppo civico 25 Aprile, con Marco Gasparinetti, rivendica di aver mosso per primo i passi concreti contro i conflitti d’interesse, ed è suo il più risoluto appello a partecipare il 2 agosto alla seduta di Consiglio comunale nell’aula di Mestre, là convocata dal sindaco per subire meno assalti. 

Non basta il lanternino per scovare un veneziano dal ponte delle Guglie fino a strada Nova: la pars construens dovrebbe iniziare da qui, ma nessuna soluzione condivisa è pronta riguardo le grandi navi da crociera, l’utopia di trovare casa nei sestieri, la sicurezza in via Dante, i servizi alle isole, ACTV che lascia a piedi i passeggeri. 

Non sarà facile accordare pro-business e “partito del no”, come lo chiama Brugnaro, figurarsi azzardare investiture mestrine o lagunari, con il rischio che vengano impallinate allo stadio di ovocita: da quando al Nazareno le consultazioni della base non vanno più di moda, le decisioni verosimilmente passeranno molto al di sopra di questo soffitto. Gianfranco Bettin, veterano ecologista e riferimento autorevole, ha già declinato le sollecitazioni: "Non dobbiamo fare il governo delle sinistre, ma un governo nuovo". 

Sotto traccia c’è chi valuta se massimizzare gli effetti del doppio turno, andando inizialmente divisi per coprire tutte le opzioni, e sperando succeda come a Verona o in Francia: ma idiosincrasie e ruggini non tramontano in quindici giorni di ballottaggio. Specie se Zaia deciderà di traghettarsi da palazzo Balbi, uno spettro che spaventa chi cerca di risalire la china: a mutazione genetica avvenuta, e senza l’inchiesta, sarebbe davvero collettivo e sentito il rifiuto del brugnarismo?

Di più su questi argomenti: