Reddito e giustizia

FdI batte il Pd sugli aiuti ai poveri extracomunitari. Una prova

Luciano Capone

Una sentenza su cui la cosiddetta sinistra riformista dovrebbe riflettere a fondo: per i cittadini extra Ue che risiedono in Italia ha fatto più la destra di Meloni che il Pd di Orlando

Dal Lussemburgo arriva una sentenza su cui la cosiddetta sinistra riformista dovrebbe riflettere a fondo. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che è illegittimo il requisito di dieci anni di residenza in Italia, gli ultimi due dei quali continuativi, per accedere al Reddito di cittadinanza (Rdc): “Costituisce una discriminazione indiretta” nei confronti degli stranieri. E, per giunta, anche la sanzione penale per le false dichiarazioni sul requisito della residenza è illegittima. 

   
La sentenza analizza il caso di due cittadine “soggiornanti di lungo periodo” imputate per aver dichiarato il falso nella domanda per il Rdc e per aver indebitamente percepito negli anni circa tre mila euro a testa. Per la Corte è la legge italiana a essere illegittima, dato che raddoppia ingiustificatamente il requisito di cinque anni di residenza per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo. Ma questa criticità era perfettamente nota sin dal principio.

  

   
 

La discriminazione degli extracomunitari e la scala di equivalenza che penalizzava le famiglie numerose erano i difetti genetici del Rdc che colpivano proprio i nuclei famigliari più colpiti dalla povertà. Erano, peraltro, i punti critici con cui la sinistra giustificò il voto contrario al Rdc così come venne approvato dal governo Conte, sostenuto in Parlamento da M5s e Lega. Ma il governo gialloverde durò solo un anno. Per i successivi tre anni al governo c’è stato il Pd, con due diversi esecutivi, e non è mai riuscito a riformare nemmeno uno dei tanti difetti del Rdc.
        

Si potrebbe dire che nel governo Conte II il ministero del Lavoro era in mano al M5s, con Nunzia Catalfo, che non voleva assolutamente toccare l’impianto originario della norma. È un’obiezione parziale, ma resta il fatto che nel governo Draghi – che a differenza di Giuseppe Conte ha più volte spinto per una riforma del Rdc – il ministro del Lavoro è stato Andrea Orlando, uno dei massimi dirigenti del Pd. Orlando aveva messo su anche un “Comitato scientifico per la valutazione del Rdc” che nella relazione finale suggeriva dieci proposte di modifica del sussidio: la prima era proprio dimezzare il periodo di residenza necessario per ricevere il Rdc da 10 a 5 anni. Non se ne fece nulla, neppure in quel caso. Quando la politica non ha capacità di incidere nella realtà, mette su un Comitato di studiosi, che produce un documento, che resta nel cassetto.
   

Si potrebbe obiettare che la spinta riformatrice del ministro Orlando fu tarpata dalle forze conservatrici che facevano parte del governo Draghi, come FI e Lega. Ma il paradosso è che il governo Meloni, composto da quelle stesse forze con l’aggiunta della destra di FdI, ha riformato  il Rdc varando l’Assegno d’inclusione (Adi) che, se da un lato toglie  il sussidio per gli “occupabili”, dall’altro rimuove alcune distorsioni e discriminazioni lasciate in eredità dalla sinistra: viene rafforzata la scala di equivalenza a favore delle famiglie numerose e viene ridotto a 5 anni il requisito di residenza per gli stranieri. Insomma, ha fatto di più per le famiglie povere extracomunitarie la destra di Meloni che il Pd di Orlando.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali