Una foto di Piazza Duomo a Lecce - foto via Getty Images

Riforme

La Zona economica speciale non servirà a nulla senza riforme radicali per il Sud

Nicola Rossi

La Zes Unica meridionale mira a trasformare il Mezzogiorno con semplificazioni amministrative e riduzioni fiscali per nuovi investimenti, ma il successo dipenderà dalla comunicazione efficace con investitori internazionali e dalla volontà dei cittadini di superare le vecchie dinamiche

Sottrarre il Mezzogiorno alla logica localistica e particolaristica che lo ha pervaso – soffocandolo – da quasi un trentennio e trasformarlo in una grande area caratterizzata nella sua interezza da significative semplificazioni amministrative e considerevoli abbattimenti del carico fiscale per i nuovi investimenti. Era ed è questo l’obbiettivo di fondo della cosiddetta Zes Unica meridionale che non si limita a prevedere una semplice aggregazione delle zone economiche speciali preesistenti ma che implica soprattutto un cambio di ottica radicale rispetto al recente passato che parte dal riconoscimento della natura sovraregionale delle principali problematiche del Mezzogiorno e che mette su un piede di parità tutte le aree meridionali spingendole a competere.
 

Una “zona economica speciale” sui generis, non c’è dubbio. Innanzitutto, per le dimensioni. Ma non per questo priva di precedenti: valgano per tutti gli esempi della Polonia e dell’Ungheria le cui zone economiche speciali si estendono all’intero territorio nazionale (pur se in presenza di sottozone territorialmente definite). Due riferimenti più vicini di quanto non si pensi stante la sostanziale corrispondenza fra il prodotto interno lordo pro capite delle due nazioni citate e quello del Mezzogiorno d’Italia. E le dimensioni nel caso di specie contano. Contano per fare del Mezzogiorno un polo di attrazione nell’intero bacino mediterraneo. E contano perché possono rendere credibili anche i rapporti con altre zone economiche speciali non necessariamente europee: rapporti in grado di offrire alle imprese insediate nel Mezzogiorno anche rapporti privilegiati di clientela e di fornitura.
 

Il governo ha ritenuto di dare alla Zes Unica un quadro di riferimento complessivo attraverso l’elaborazione di un Piano strategico di cui, al momento, sono noti solo gli elementi essenziali. Un piano che indica le priorità in termini di filiere produttive e tecnologiche. L’esplicito riferimento che in sede di presentazione del piano è stato fatto alla libertà di impresa lascia supporre che l’indicazione delle priorità non sia tale da imporre vincoli eccessivi alle imprese operanti o che intendessero operare nel Mezzogiorno. Sulla competenza delle istituzioni e degli enti che hanno coadiuvato l’amministrazione nella preparazione e redazione del Piano non possono aversi dubbi, ma è bene non dimenticare mai che non c’è esperto che possa oggi indicare quale sarà l’innovazione di processo o di prodotto che, calata nella realtà del mercato, sarà in grado domani di cambiare le regole del gioco e far sì che il Mezzogiorno avvii e completi la sua rincorsa delle aree più sviluppate del paese.
 

Alle spalle abbiamo trent’anni circa di politiche regionali assai più che fallimentari, cui purtroppo sono riconducibili uno spreco senza precedenti di risorse pubbliche e un visibile deterioramento del tessuto sociale del Mezzogiorno. Rispetto a quelle politiche, la cosiddetta Zes Unica rappresenta una inversione di tendenza potenzialmente radicale e sotto molti punti di vista. Una inversione di tendenza di cui misureremo nel tempo i risultati ma che fin d’ora non potrà non essere accompagnata da una operazione di comunicazione in tutte le direzioni. In particolare, agli investitori e soprattutto agli investitori internazionali bisognerà parlare con la loro lingua (come si può immediatamente osservare frequentando i siti di altre zone economiche speciali europee e soprattutto non europee). E ai meridionali bisognerà dire la verità: il riscatto del Mezzogiorno non ha molto a che fare con le risorse che a esso vengono destinate ma con la volontà dei meridionali (anzi, degli italiani) di superare un divario ormai più che secolare. Una comunicazione – soprattutto quest’ultima – che incontrerà non pochi ostacoli: è stato sorprendente notare che nella conferenza stampa che ha accompagnato il varo del Piano strategico tutte, ma proprio tutte, le domande riguardassero solo ed esclusivamente la polemica relativa alla entità dei crediti di imposta. Crediti di imposta peraltro preesistenti rispetto alla Zes Unica. Politiche radicalmente diverse non possono funzionare se non poggiano su una cultura profondamente diversa e se la politica non riscopre la sua capacità pedagogica.

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