Il colloquio

"Meloni, attenta: serve più attenzione per la stampa. Ma rievocare l'editto bulgaro fa ridere", ci dice Padellaro

Ginevra Leganza

Intervista al fondatatore del Fatto. "Il report sull'informazione? Gli anticorpi per garantire il pluralismo in Italia ci sono tutti". E su TeleMeloni: "A rischio è solo la qualità dell'intrattenimento"

“Se per Meloni i giornali critici del governo sono ‘portatori d’interesse’”, premette, “allora bisogna ricordare che proprio Repubblica, in tema di politica internazionale, ha gli stessi interessi di Meloni”. Poi aggiunge: “È la politica estera l’interesse più importante. Non certo il fascismo percepito”. A parlare al Foglio è Antonio Padellaro, già direttore dell’Unità e co-fondatore del Fatto quotidiano, che al presentimento di una Meloni in odor di Berlusconi non può credere. Eppure proprio su Repubblica – all’indomani dei due report sullo stato di salute dell’informazione italiana, appena dopo la replica della presidente del consiglio in Cina – si evocava nientemeno che l’editto bulgaro.

Ma allora, Padellaro, quest’attacco di Meloni alla stampa cos’è? Sarà forse un editto pechinese? “Editto pechinese fa ridere fin dal nome. Ricorda la razza dei cani, i pechinesi, molto buffi”. Una storia che si ripete in forma di farsa, quindi. “Diciamo che è semplicemente impensabile paragonare l’editto bulgaro – a seguito del quale Biagi, Santoro e Luttazzi furono allontanati dal servizio pubblico – a quanto accade oggi in Italia, dove gli anticorpi per garantire un’informazione plurale ci sono tutti; dove talk e opinionismi prolificano in gran copia; dove l’unico rischio pertinente all’informazione, a dire il vero, è quello che corrono le edicole, visto che a sud di Roma quasi non esistono più”. Perciò Meloni, che tra gli “stakeholder” cita Repubblica, Domani e Fatto quotidiano, nel dare uno schiaffo a un mondo anchilosato, per paradosso quasi lo rivitalizza… “Forse. Anche se non credo che con o senza questi report, che io stesso non ho letto, i giornali aumentino il fatturato. Piuttosto Giorgia Meloni dovrebbe avere, nei confronti della stampa, una maggiore attenzione, questo sì. Direi pure maggiore ironia”. Scrollarsi di dosso la sindrome della vittima? “Meloni non ha più il cuore a Colle Oppio: è da due anni presidente del Consiglio e ha dimostrato, sul palcoscenico internazionale, di valere molto. Allo stesso modo, ci vorrebbe meno impulso, più attenzione, e forse anche più leggerezza, nei confronti dei giornalisti. I quali, certo, dovrebbero fare altrettanto”. Cosa intende? “Lo ripeto: il martirologio non aumenta l’effettivo delle copie vendute”. 

Tornando ora al report di Media Freedom Rapid Response, che la premier sovrappone – forse confonde – con la Relazione annuale della Commissione europea, la sostanza non cambia. Al centro del discorso c’è ancora lei: TeleMeloni. E tuttavia il servizio pubblico, secondo Antonio Padellaro, corre pericoli assai diversi da una deriva liberticida. Giacché gli unici a rischio, per via di una Rai “di amichetti e amiconi”, dice, sono i cittadini che pagano il canone. “I quali non si curano che la tivù sia affidata agli amici zelanti di Giorgia, ma forse vorrebbero qualità”. “Ed ecco”, argomenta la firma del Fatto, “a rischio è solo la qualità dell’intrattenimento che quando non è garantita restituisce ascolti da prefisso telefonico”. 

Un accostamento, Meloni-Berlusconi, che dunque è frutto di una nostalgia? “Sarà. Berlusconi era tanto ‘assolutista’ quanto simpatico e, come gli dissi io stesso, diede da vivere agli amici non meno che a noi nemici. Non dimentichiamo cos’è stato il berlusconismo, ma dobbiamo sapere che il melonismo non esiste. Neppure esistono derive illiberali. Sono pianeti diversi”. E quell’antico sogno di privatizzare la Rai, allora? “Un antico sogno, appunto. Che Meloni ripete – e qui, strano ma vero, do’ ragione a Gasparri – perché fa chic. In ogni caso, siamo nel solco delle ‘interviste sotto l’ombrellone’: sono le dichiarazioni sotto il solleone”.

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