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Il ritratto

Apocalypse Fazzolari: le paure, le idee estive, la giornata del colonello di Meloni

Carmelo Caruso

Non si fa vedere a palazzo, ha chiamato come segretaria la nipote di Patrizia Scurti, segretaria di Meloni. Le chat, le password. Il mondo chiuso dell'altro premier

Si merita l’Oscar, ma anche Giovanbattista Fazzolari lo rifiuterebbe come Marlon Brando. Sogna l’isolamento, la purezza, del colonnello Kurtz, in “Apocalypse Now”, Palazzo Chigi ai confini della Cambogia, vede fantasmi anche di giorno: l’orrore. Passa i suoi incubi da sottosegretario  e le malinconie alla premier che ne ama la testa, il pensiero grigio, i suoi riti, i suoi “mattinali” da questura. Non rilascia interviste da mesi, a Palazzo nessuno lo vede più. Gli uscieri:  “Viene tardi, mai prima delle undici. Anche l’auto che si è scelto è pura. Colore? Bianca”. Come il colonnello c’è chi lo cerca ma lui resta nella sua “capanna” di Maccarese, la sua casa, dove immagina una nuova extra-tassa estiva, forse le assicurazioni, prepara la reazione contro l’Europa, la Francia, il mondo contaminato, “manipolato” e “stracciaculo” dei poteri forti, degli stakeholder. In FdI viene venerato come un santone, i pochi italiani rimasti, che saltano sulla sedia quando ricevono la sua telefonata, lo chiamano “maestro”. Un amico di Meloni: “Uno stregone”. Avrebbe aperto una chat con tutti i componenti della commissione di Vigilanza Rai di FdI e nella chat ci sarebbe anche il dg Rai, Giampaolo Rossi, il “profeta”, il destro morbido che non comprende la legge di natura, la Cambogia di tenebra: “Sbrana o ti sbranano”. Per almeno sei mesi di governo non ha mai voluto incontrare manager, banchieri per mostrare che con lui, le carezze, i profumi, la carne, non funzionano. Non desidera denaro, onori, vuole di meglio: sorvegliare e punire, il castigo e la redenzione.


Ancora oggi, quando gli fissano gli incontri, perché ora incontra, colloquia (anzi, ci prova gusto) Fazzolari  avvisa i collaboratori di parlare il meno possibile, di stringere poche mani. Gli chiesero la ragione di questo timore, e lui che è l’altro premier, il colonnello Fazzo, avrebbe risposto: “C’è un reato che si chiama traffico d’influenze. Incontrare non è solo incontrare. A questi livelli un incontro può rivelarsi un’imboscata”. Non è andato insieme a Meloni a Pechino, ma è rimasto a Roma a occuparsi delle sue deleghe. E’ sottosegretario per l’attuazione del programma ma non si ricordano conferenze per illustrare l’avanzamento  anche perché il suo è più ambizioso di quello di governo. Non gli importa arrivare a fine legislatura, vuole arrivarci senza che gli si possa rimproverare: “Giovanni, sei cambiato. Siete cambiati”. Nelle sezioni si lasciano ancora chiamare con i soprannomi, Fazzolari “Spugna”, Rossi “Bussola”, Francesco Rocca “Ketchup”, Francesco Filini “Delfino”, Marco Marsilio “il Lungo”, Lollobrigida “Beautiful”, Andrea De Priamo “Peo”, Arianna Meloni “Ari”, e ancora ci sono “shuttle”, “spaccalegna”, “il nasone”, “il golpista”, “bottoncino”, “nocciolino”. E’ sua, di Fazzolari, la frase “meglio perdere che perdersi” e infatti non ha lasciato che Meloni si “perdesse” e votasse il Mes. E’ siciliano, di Messina, ma non è di mare. Somiglia a quei siciliani che vivono sui monti Nebrodi, un po’ Cambogia, ma senza neppure l’acqua dei fiumi, i duri che hanno la forza nelle mani, le guance piene da toro, uomini che non sopportano essere guardati dritti in faccia ma solo a distanza. A distanza. Di più. A Palazzo Chigi, al primo piano, ha chiesto di occupare la stanza che era stata della portavoce del governo di Mario Draghi, Paola Ansuini. La più prestigiosa l’ha lasciata volentieri a Patrizia Scurti, la “segretaria di stato”, che lo definisce “genio” e il genio ha chiamato a lavorare la nipote di Patrizia Scurti, che di Fazzolari è adesso la segretaria particolare. Chi è entrato l’ultima volta ricorda una piccola scrivania, un tavolo rotondo. Nel fasto era la cella. Di fasto. Ha cumulato la comunicazione di governo dopo che si è allontanato Mario Sechi, oggi a Libero, uno che dottoreggia. Fazzolari non ama i dottori, non ama chi si veste bene. Indossa sempre la stessa camicia blu, come fosse un metalmeccanico, non gli piace l’ironia, il pensiero laterale che è un francesismo, roba da Jules Renard. All’inizio, quando non lo conosceva nessuno, quando le sue interviste-biografie venivano confinate negli inserti, 4.500 battute al massimo, “al massimo, eh”, gradiva ancora chi per proteggerlo gli diceva, “forse questa è troppo”. Ora gode invece quando i giornalisti lo fanno passare per dritto, verticale, tutto d’un pezzo. Più lo descrivono feroce e lui più sorride, “bravo. Buon pezzo”. Fosse per lui caccerebbe in malo modo tutta la stampa, quella che riempie la sala di Palazzo. Altro che cerimonia del Ventaglio! Raccontano che fosse un’altra sua “fazzolarata” regolamentare l’accesso a palazzo, limitarne a una parte della stampa parlamentare, un po’ come hanno sperimentato i colleghi che hanno seguito la premier in Cina. Fazzolari le chiama “favole”, e ripete che è opera della “solita dis-informazione italiana”, ma è lui che la affama e la stuzzica. Alla stampa italiana non le riconosce neppure lo status di avversario. Dietro all’attacco di Meloni, in Cina, contro i quotidiani “portatori d’interesse”,  c’è il fastidio di Fazzolari per le pagine del Monde dal titolo “L’offensiva di Meloni sulla Rai”. Era un servizio costruito con gli articoli dei giornali italiani che per Fazzolari non valgono nulla se non fosse che, pensa lui, “Le Monde, l’Ft su queste falsità costruiscono i loro pezzi. Bisogna rompere questa pratica”. Si è inventato il suo giornale “il mattinale”, il suo foglietto della messa, ma quando si è accorto che circolava tra gli infedeli ha chiesto di costruire un software con la password. Viene oggi distribuito solo ai parlamentari ma devono digitare una password. Sono stati esclusi capi di segreteria, collaboratori di partito, ma continua a circolare come il monologo del colonnello di Coppola, il Marlon Brando sudato, nella foresta, con le candele accese che spiega la forza “del gesto completo, genuino e puro”. Nella drammaticità di Fazzolari, nella sua epica, nella sua lingua estrema, c’è tutta la drammaticità di Meloni che non riesce ad aprire le finestre, a fare entrare la luce al governo. Il mattinale di Fazzolari è il loro notturno, la rivelazione. L’Apocalisse.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio