Il flop
Il Pd raccoglie 500 mila firme ma si perde la Puglia: bocciata la proposta di referendum
Delle cinque regioni govermate dai dem, quella retta dallo sceicco Emiliano è l'unica a non raggiungere la maggioranza necessaria. Antipasto tragicomico della fine di un impero
Se in tutta Italia il centrosinistra ed Elly Schlein surfano sull’onda delle 500 mila firme raccolte per i referendum contro l’Autonomia, in Puglia va in scena una puntata del vecchio cult Rai “Oggi le comiche”. L’assemblea pugliese è, infatti, l’unica tra le cinque delle regioni governate dal campo largo a non aver approvato la richiesta di consultazione popolare contro il progetto Calderoli da presentare alla Suprema corte. Ma come si spiega il flop in una regione nella quale il cartello contro il neoregionalismo mette insieme tutti, da Rifondazione comunista a Renzi e perfino ai calendiani? Con un mix inedito di pressapochismo, arroganza e indolenza alla Checco Zalone nel cult da impiegato sfaticato di “Quo vado”.
Lo psicodramma avvenuto nel Palazzo di vetro del quartiere Japigia, Bari Sud, è durato quasi dieci giorni. Il 24 luglio la presidente del Consiglio regionale, Loredana Capone, ambiziosa dem area Schlein, ha portato in aula la delibera con le due richieste di referendum. Il Consiglio è stato a tratti burrascoso, tra tecnicismi regolamentari, forzature e qualche strappo, perché la battaglia contro l’Autonomia si sovrapponeva a quella per il Tfm, il famigerato trattamento di fine mandato proposto da consiglieri Pd, ma osteggiato dal Nazareno, dal partito regionale e perfino dall’inedito asse Cgil-Confindustria. Alla fine il Tfm è stato accantonato mentre la delibera è stata approvata con la maggioranza qualificata richiesta. Tutti felici, e via con dichiarazioni roboanti contro lo Spacca Italia e “la riforma della Lega Nord”.
Lo sceicco Emiliano gongolava tipo muezzin: “Riunione durissima. Il centrodestra incoraggiava i consiglieri di maggioranza a infilarsi nel tunnel. Siamo riusciti a sventare questa manovra respingendo la proposta di ripristino del tfm e votando la delibera sul referendum. Quindi dieci a zero”. Qualcuno però aveva venduto troppo presto la pelle dell’orso. La mattina dopo gli uffici della Regione hanno rilevato che la delibera referendaria era viziata e inefficace: gli scrittori frettolosi della proposta avevano dimenticato di indicare i nomi dei quattro presentatori della richiesta alla Cassazione. Tutto da rifare, o meglio tutto da emendare con un nuovo Consiglio, da riunire con una convocazione straordinaria il 30 luglio. Nella settimana tra le due riunioni, come una tempesta perfetta, si sono materializzati i tasselli di un mosaico politico in disfacimento: lo sceicco Emiliano ha fatto sapere di essere pronto nelle prossime regionali a candidarsi consigliere (diventando un rivale di fatto degli altri eletti del centrosinistra), mentre molti della maggioranza avevano già prenotato aerei e predisposto la partenza per lidi ameni. In più si è aperta una doppia querelle per chi dovesse presentare a Roma il quesito referendario, con la presidente Loredana Capone scalpitante per essere delegata come le colleghe presidenti dei parlamentini di centrosinistra.
Nonostante questa atmosfera cospirativa, la Capone ha convocato a stretto giro la seduta per sanare la delibera del referendum, con un ordine del giorno che prevedeva anche l’approvazione del Documento di economia e finanza regionale (il via libera doveva arrivare entro il 31 luglio). Giorni di conteggi, inviti a non assentarsi, pressioni sul vicepresidente regionale Raffaele Piemontese ad allontanarsi temporaneamente dalla clinica nella quale la moglie stava partorendo la figlia Valentina, più promesse di assessorati non sono bastati a mettere insieme la maggioranza qualificata necessaria, i 26 voti indispensabili per il via libera. In aula sono rimasti quattro gatti progressisti, lasciati soli da colleghi già in vacanza, feriti dall’astensione della 5S Grazia Di Bari (che reclama un posto in giunta) e dalle manovre vendicative di chi aspirava al Tfm, nonche’ dalle invettive cifrate di chi voleva mandare all’emiro un messaggio ostile dopo l’annuncio della sua discesa in campo nel prossimo giro regionale (“allora andremo a parlare con il nuovo leader, Antonio Decaro”, si sussurra nei corridoi del Consiglio). Referendum e Defr non sono passati. Il Consiglio si è mestamente sciolto, tra accuse reciproche di irresponsabilità e critiche alla presidente Capone (“rimpiangiamo il presidente Mario Loizzo, un vecchio comunista che sapeva tenere i numeri, dialogando anche con il diavolo o con i fascisti”). Ora si torna in aula a settembre, c’e tempo per mettere una toppa alla figuraccia nazionale rimediata da un centrosinistra inaffidabile e alle cime di rape, ma lo spettacolo messo in scena è solo un anticipo della stagione da fine impero che segnerà l’epilogo del decennio emilianista.