Dopo la maxi-inchiesta

Brugnaro: “Non mi dimetto. Senza di me Venezia allo sfascio”

Francesco Gottardi

Come da copione, la sessione straordinaria del Consiglio comunale si risolve nel muro contro muro: alle opposizioni che gli chiedono di lasciare, Brugnaro risponde “di non poter tradire i cittadini. Sono innocente: i miei successi amministrativi strumentalizzati dalle accuse”

Il sindaco rivendica. “Nove anni di lavoro, 12 ore al giorno. Oggi come premio sono qui a dimostrare la totale onestà del mio operato”. Il sindaco respinge. “Sono innocente: lo proverò in tutte le sedi opportune”. Il sindaco scarica, ricarica e affonda. “Mai avrei immaginato cose del genere sull’assessore Boraso, altrimenti l’avrei denunciato. La giustizia faccia il suo corso: ho il dovere di rimanere al mio posto per non tradire il mandato dei cittadini veneziani”. Che fuori dall’assemblea lo asserragliano in coro: “Dimissioni”. Luigi Brugnaro risponde con un’altra verità. La sua.

  

Era una mattinata pesante per l’amministrazione lagunare. Dopo la maxi-operazione della Guardia di FinanzaBoraso in carcere per corruzione, Brugnaro indagato per concorso – la città aveva chiesto al sindaco di riferire con urgenza in Consiglio comunale. Lui aveva tentato il rinvio a settembre. Poi ha dovuto cedere sui tempi – sotto pressione crescente, anche da parte alleata come Forza Italia. Ma ha scelto con cura sede e modi del confronto: mica a Venezia, il centro storico che mai gli aveva dato consenso e che in queste ore l’avrebbe messo alla berlina (sulla falsariga di quanto accaduto a Toti a Genova). Meglio la sua Mestre, allora. Dove Brugnaro gioca sempre in casa: sotto le finestre di Ca’ Collalto la gogna, tra fischi e striscioni, s’è fatta gognetta (500 presenti in tutto). “Sapete cosa sarebbe questo comune, oggi, senza i miei due mandati?”. Sintesi del sindaco: uno schifo.

  

È il finale col botto di un discorso durato quasi un’ora, in cui Brugnaro ha sfoggiato tutte le sue maschere. Luigi il commosso, fino alle lacrime, quando dice di essere “sempre e comunque dalla parte della legalità”. Luigi il duro: “Ho avocato le deleghe dell’assessore Boraso. Si capisce dalle intercettazioni che ero arrabbiato con lui: lo strigliavo in buona fede, ciò che è emerso dalle indagini era impensabile”. Luigi l’imprenditore tifoso: alle accuse di “ripetuti conflitti d’interesse” – dapprima politiche, poi giudiziarie – già anni fa aveva ribattuto esibendo il trofeo scudetto della sua Reyer a mo’ di scudo, durante un’epica seduta consiliare; oggi si è limitato a enumerare uno per uno i trionfi del club di pallacanestro. Rogne ai Pili? Altro scudetto. Palazzo Papadopoli al centro dell’inchiesta? Coppa Italia. Tangenti di Boraso? Tricolore al femminile. Se un piatto della bilancia si fa pesante, Brugnaro rimpolpa l’altro. Alla fine dell’intervento si alza in piedi. Gonfia il petto. Chiama a sé l’applauso delle sue file (lo otterrà) e manda il dibattito dove preferisce: in caciara. Dai banchi dell’opposizione ci cascano quasi tutti. Cala il sipario, resta il sindaco.

 

Il problema, oltre la cortina di fumo, è che la sostanza per Brugnaro non pare affatto serena. S’era accennato a Toti: se l’ormai ex governatore ligure ha subito i ricatti della magistratura, l’impianto accusatorio contro il moderato veneto si presenta più solido e calibrato. Nessuna misura cautelare a sproposito, la Procura contesta “l’inefficacia del suo blind trust” e l’aver messo in atto “un sistematico perseguimento di interessi personali”. Brugnaro in municipio non solo ha distolto l’attenzione. Ma all’occorrenza ha rilanciato. Secondo i pm, la messa a profitto dell’area dei Pili (da lui comprata per 5 milioni di euro nel 2005 e oggi valutata 85) resta in cima alla sua agenda; secondo il sindaco, si tratta al più di un vecchio affare saltato (con tanto di rivelazione: la cena del nulla di fatto, a casa sua, col magnate di Singapore Kwong). Secondo i pm, quella di Palazzo Papadopoli rappresenta una svendita a tutti gli effetti per facilitare l’operazione ai Pili (l’acquirente è sempre Kwong): Brugnaro lo considera invece “un successo amministrativo, quando le casse comunali avevano bisogno di liquidità come l’ossigeno”.

  

La controreplica più incisiva arriva forse da Marco Gasparinetti, consigliere di una lista civica all’opposizione. Fa notare a Brugnaro – che a più riprese si dice “cascato dalle nuvole” – di aver presentato lui stesso una diffida contro la vendita sottocosto del palazzo già nel 2017. E di essere stato zittito dalla maggioranza. Ancora, fa notare a Brugnaro che nella sua lunga filippica manca ogni accenno alla parola “Scuse”. È vero. Come manca una doverosa precisazione sull’assessore Boraso: oggi reietto, ieri suo fedelissimo e campione di preferenze in quota fucsia. Orbene. Tra le dimissioni e le non dimissioni, tra i manettari e il garantismo a oltranza, c’è di mezzo un vasto principio cardine: la responsabilità politica per un pasticciaccio brutto che in ogni caso non fa onore a Venezia. Tanto meno al suo sindaco.

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