il personaggio
Il Toninelli di Meloni. Ritratto di Federico Mollicone
Gaffe, strapotere, polemiche, assenteista in commissione Cultura: ecco chi è il deputato meloniano al centro delle polemiche dopo le dichiarazioni sulla strage di Bologna
Se ci fosse un premio “Danilo Toninelli” della destra, lui sarebbe senz’alcun dubbio in pole. E’ il gaffeur che spinge la premier Meloni a dirsi: basta, io questi non li difendo più. Quando nel fine settimana Federico Mollicone ha detto che “le sentenze sulla strage di Bologna sono un teorema politico per colpire la destra”, da Palazzo Chigi è partito l’ordine: nessuno osi commentare certe dichiarazioni. E pensare che già prima non è che l’opinione della maggioranza verso il deputato meloniano fosse granché. Per dirla con le parole di un parlamentare di centrodestra: “Come descrivere Mollicone? Sotto la cravatta, il nulla”. Anche Fabio Rampelli, che è stato un po’ il suo padrino politico, riconosce che il revisionismo sulla strage di Bologna, apre “una questione scivolosa”. Eppure il personaggio è questo qui: ha detto che il cartone animato Peppa Pig veicolerebbe “l’indottrinamento gender”. Che la maternità surrogata sarebbe “un reato peggiore della pedofilia”. Gli piace definirsi filosofo, comunicatore, oltre alla passione per le bretelle ha quella per le stecche delle camicie. Dice di apprezzare Nietzsche (ma non è dato sapere se sia mai andato oltre l’aforisma che dà il nome al suo blog, che si chiama Aforisma 341). Fa volontariato in un’associazione ambientalista vicina al Fronte della gioventù dal nome “Fare verde”. Quando Vittorio Sgarbi si dimise da sottosegretario alla Cultura, ostentava una certa sicumera: “Ora tocca a me”. Era convinto di entrare al governo. Sarebbe stato pronto ad accontentarsi anche di un sottosegretariato all’Istruzione, al posto di Augusta Montaruli. Con le parole su Bologna è riuscito a smentire la sua premier quando a Pescara, ad aprile scorso, ai suoi disse: “Non è vero che non abbiamo una classe dirigente”.
Eppure proprio con Giorgia Meloni, Mollicone può vantare una frequentazione di lungo corso. I due si conoscono da quando erano dei giovani militanti della Fiamma. Perché allora farla indispettire così? Dopo un percorso in Alleanza nazionale e poi nel Pdl, Mollicone è stato il responsabile della comunicazione della Meloni ministro della Gioventù, nel governo Berlusconi IV. Tanto che nel 2021, quando scrisse un libro dal titolo “L’Italia in scena. La cultura, l’innovazione, la pandemia. Tre anni di battaglie fuori e dentro il Palazzo per costruire la Destra di governo”, Meloni in persona, che all’epoca era leader dell’opposizione al governo Draghi, gli curò la prefazione.
Mollicone in realtà è un rampelliano, esponente della cosiddetta (ristrettissima) minoranza interna di Fratelli d’Italia, quella dei Gabbiani. Alla scorsa convention di FdI per lanciare la candidatura di Meloni alle europee, a Pescara, capitò di vederli cenare assieme in un ristorante di arrosticini con i vari fedelissimi dislocati sui territori. E’ tra i fondatori del partito, con ogni probabilità ha passato più tempo a Colle Oppio che in qualsiasi altro posto al mondo. All’ultimo congresso di FdI a Roma, ha appoggiato Massimo Milani. Ma siccome l’ala forte del partito romano, leggasi Arianna Meloni e Francesco Lollobrigida, sponsorizzava il deputato Marco Perissa, Mollicone e gli altri rampelliani mollarono la presa rinunciando alla candidatura. In realtà, come raccontano voci interne allo stesso universo meloniano, Mollicone è visto più come un disobbediente. Nel senso che per il primario interesse di scalare posizioni, si muove in proprio, facendo leva sul rapporto diretto con la premier. E’ stato per anni consigliere di municipio a Roma, poi consigliere comunale. Ed è qui, all’interno dell’Assemblea capitolina, che ha capito quale sarebbe stata la vera prateria per fare carriera nel partito: occuparsi di cultura. Ovvero quel che la destra ha sempre rifuggito. Lo fa dal piccolo al grande: dal rilancio del Carnevale di Roma alla riqualificazione (guarda un po’) del Parco di Colle Oppio. Ma poi, una volta diventato presidente della commissione Cultura della Camera, in questa legislatura, si è spinto ben oltre. E’ sua l’idea del blitz per piazzare ai vertici del teatro di Roma, Luca De Fusco. Nomina, denunciarono le opposizioni, avvenuta in un cda “carbonaro” in cui il presidente del teatro e il rappresentante del comune erano assenti.
Mollicone ha un’idea di cultura con un perimetro d’interesse molto esteso. Per esempio qualche mese fa è finito a difendere l’attore Pierfrancesco Favino che se l’era presa con la scelta di far recitare attori stranieri in ruoli italiani. “E’ appropriazione culturale”, disse Mollicone. Non rendendosi conto di appropriarsi, a sua volta, di una rivendicazione wokista, molto poco di destra. Cos’altro? Il presidente della commissione Cultura è stato anche fra coloro che si sono espressi a favore del disegno di legge che prevede sanzioni per i funzionari della Pubblica amministrazione che usano termini non italiani in atti ufficiali. Sarà anche per questo presidio a 360 gradi della cultura italiana che, dicono nell’anonimato i componenti della commissione Cultura della Camera, “brilla per assenteismo”. Nella scorsa legislatura s’è occupato di Rai, in commissione di Vigilanza. E anche qui il giudizio malizioso di alcuni suoi colleghi di coalizione è questo: “Per ogni singolo dossier che ha toccato, ha lasciato dietro di sé veri e propri crateri”. Adesso che all’ipotesi, chissà, di agguantare finalmente un ruolo di sottogoverno non voleva rinunciare, ecco l’affondo sui fatti del 2 agosto 1980. Condito, ancora ieri, da una fierezza rivendicatrice. Scuse e dietrofront? Macché. Il deputato romano ha confermato la volontà di procedere a “un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia” per sapere se nello “sciame di processi” legati alla vicenda bolognese “siano state rispettate le garanzie di accusa e difesa e il cosiddetto giusto processo”. Gli imbarazzi di Meloni, insomma, non l’hanno sfiorato.