Il governo alla lavagna. Cosa pensano i lettori del Foglio dell'esecutivo Meloni dopo 650 giorni
Promossa la politica estera e la prudenza in economia, un po’ meno la propaganda securitaria e l’ignavia su scuola e giustizia
Sabato 3 agosto il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha spiegato qui quali sono i cinque principali peccati del governo Meloni e suoi cinque principali punti di forza. E voi cosa ne pensate? Il Foglio ha deciso di ospitare i commenti dei lettori. Inviate il vostro commento, di mille battute, a [email protected] con nome, cognome, professione o corso di studio. I migliori testi saranno pubblicati.
Alcune misure di politica interna vanno giustamente riconosciute al governo Meloni. Primo: la revisione del reddito di cittadinanza, senza scatenare particolari proteste e conflitti sociali. Secondo: in materia di pensioni è cambiata la narrazione e si è messo in evidenza il collegamento con gli andamenti demografici che è l’argomento decisivo e inconfutabile per dimostrare l’insostenibilità del sistema; è cambiata la funzione della politica delle quote, non più rivolta (come con quota 100) a favorire il pensionamento anticipato ma a disincentivarlo; il governo ha anticipato di due anni la fine del blocco dei requisiti per la pensione di anzianità previsti nella riforma Fornero a opera del governo gialloverde. Terzo: il governo ha evitato la trappola del salario minimo legale, l’unica questione su cui l’opposizione l’aveva messo in difficoltà. Per quanto riguarda gli aspetti negativi io aggiungerei la rinuncia all’elezione diretta del presidente della Repubblica (come era indicato nel programma e come avviene in molti paesi d’Europa dove non vi sono monarchie dinastiche) per infilarsi nel sarchiapone del premierato in una logica ad personam e che evoca la staffetta all’interno della maggioranza. Segnalerei, altresì, il silenzio del governo nei confronti dei quattro referendum della Cgil, i cui effetti negativi sul mercato del lavoro non sono da sottovalutare.
Giuliano Cazzola
Pensionato già vice presidente della commissione Lavoro della Camera nella XVI legislatura
Senza cadere nel cliché del “governo dei fascistissimi” (si aggirano, per le porte delle nostre città, pastorelli che gridano “al lupo, al lupo!”), Meloni e alleati hanno dato sfogo, in politica criminale, a un certo spirito liberticida, ricorrendo alla linea “law and order” su misura per la cronaca del momento. In principio fu il rave (e giù di repressione contro i raduni abusivi), poi Caivano (ai discoli mancava l’educazione correzionale) e la sicurezza (così, finiranno le proteste umane nelle carceri disumane). Il nascituro e delirante Codice della strada dimostra che alcune salite sono ostinate: la cima repressiva è ancora dietro la collina. Quanto al resto, il ddl Nordio è un buon segnale, ma il decreto carceri è inadeguato. Ecco, la riforma costituzionale della separazione delle carriere avrebbe un valore immenso; a quanto pare, ha anche un prezzo alto. La sorte, spesso, gioca a prendere sul serio quel verso dei Matia Bazar: “Per un’ora d’amore non so cosa farei”.
Lorenzo Cameli
A settembre presterò giuramento come avvocato del Foro di Bologna per esercitare la professione nel diritto penale.
Che la Meloni volesse mettere su una scuderia pugilistica, intervenendo con decisione nella querelle olimpica Carini-Khelif, è una battuta, però forse freudianamente spiegabile, se solo si pensa a come la premier ha interpretato i primi 650 giorni, lancia in resta e con la postura di un boxeur sempre in guardia, certo confermata in questo atteggiamento da un’opposizione che non va oltre l’ormai abusata questione dell’antifascismo e della demonizzazione dell’avversario. Al di là, quindi, di un’azione di governo condotta sotto il segno di sottili equilibrismi che ne hanno, finora, appesantito l’efficacia, va detto che il tema di fondo, nel delineare un sia pur sommario bilancio, va forse ricercato nella difficoltà mostrata dalla Meloni a parlare veramente a tutti gli italiani, a mostrare cioè quello status che un po’ da tutte le parti le si chiede, quello di una guida autorevole che sappia scansare le trappole tendenti alla rissa senza futuro e che sia lei, facendo i conti con quanto di nebuloso resta dalla sua parte e tra alcuni alleati, a tracciare l’inizio di un percorso che porti a un confronto certo serrato e aspro, ma finalmente maturo, addirittura a una memoria condivisa. E’ troppo?
Maurizio Cichetti
Docente
Non so se questo Governo meriti o meno la sufficienza, differiamo il giudizio a quando cadrà. Perché, di certo, cadrà. Per certi aspetti avendo un’illogica simpatia per Meloni (o forse compassione per la sfida che si è data con quei compagni di viaggio) glielo augurerei anche a breve, le urne saprebbero comunque premiarla. Una considerazione vorrei però che le fosse chiara prima di sedersi alla nuova roulette elettorale. E’ nei momenti in cui i valori ci sembrano in pericolo perché non sappiamo interpretarli in un mondo in continua trasfigurazione che la sola promessa di sicurezza esteriore è inadeguata, la proposta politica labile. A problemi nuovi o ineludibili (cambiamento climatico, flussi migratori, denatalità, fine vita) occorre saper dare risposte nuove abbandonando stereotipi del passato e sviluppando un moderno conservatorismo progressista. Serve un salto culturale, servono – soprattutto – intelligenze nuove (con buona pace dei famigli di turno). Passare dal 4 al 29 per cento è stata per Meloni un’impresa memorabile ma il rischio di cadere in un’ignavia nostalgica è concreto. Si scrolli la zavorra, molli i freni e si dimostri capace di una leadership visionaria.
Roberto Remondi
Dirigente settore bancario
Giudicare Giorgia Meloni e giudicare il governo Meloni sono cose differenti, sul secondo gravano la sventatezza di Salvini e di quei “fedelissimi” che meglio farebbero a continuare con la vita di sezione (e connessi nostalgici). Proprio l’averli messi là è, forse, il principale errore della presidente del Consiglio. Altrettanto spiacevole è, sicuramente, il comportamento sulle questioni identitarie, il persistente tentativo di salvare il salvabile dei peccati di gioventù. Forse, circondarsi di amici stretti e fare un quarto di saluto romano sono peccati figli della stessa paura di emanciparsi. Chissà.
Il Foglio trova che un plauso a Meloni vada fatto per la postura europeista. Io penso che sia, invece, l’approccio atlantista a dover essere premiato. Se l’idea di Europa che abbiamo in mente è quella del feudo kantiano, allora credo che alla presidente del Consiglio manchi un certo spirito cosmopolita. Ma sugli alleati non traballa, e questo non era scontato.
Antonio Alberti
Copywriter e consulente di comunicazione
Parliamoci chiaro: se siamo rimasti noi, quattro gatti malati di politica, a commentare quanto operato finora dal governo Meloni dalle pagine di questo giornale, non perdonando una virgola alla premier (o meglio al premier come ha piacere nel farsi chiamare) o a chi le è molto vicina, vedi le figure rimediate dal buon Lollo o da zio La Russa, sotto questo sole e con 40 gradi all’ombra – chi scrive lo fa da Pescara, in questi giorni prima in classifica per caldo e umidità… non certo per prodezze sportive che in città mancano ormai da anni – di certo non correremo il rischio di essere giudicati da parte del popolino pro Pal alla “Un sacco bello” come sovranisti, fascisti, omofobi, trogloditi o come delle specie di scimmie in grado di pronunciare giusto alcune vocali ansimate mentre ci grattiamo sotto le ascelle, se ci azzardiamo, o meglio se mi azzardo, a dire che al momento questo governo, rispetto a quello che offre in superficie la scena politica italiana, è il meglio che ci poteva capitare. Ah, cosa mi tocca dire… Partiamo subito con l’analisi. Anzitutto è doveroso spiegare quel “offre in superficie”. Sì, perché in realtà il panorama politico italiano ha tanto (non ci allarghiamo, meglio dire abbastanza, dai) da offrire per noi liberali, vedi alcune correnti di Forza Italia o Noi moderati, Azione e persino Italia viva, sciocchezze di Renzi a parte. Tutto questo ambaradan per venire alla sintesi fatta nelle colonne di questo giornale dal direttore Cerasa: “Non si può dire che Meloni sia un’estremista, non si può dire che il suo governo sia populista […] non si può dire che vi siano temi economici seri di finanza pubblica su cui bocciarla”. Ecco, penso che queste tre cose siano la condizione necessaria per le basi di un buon governo (libero e occidentale) di qualsiasi colore politico. Da qui il mio giudizio positivo e inaspettato per uno che di certo non ama la presidente (il presidente). Il problema per me sta nel guardare nell’altro campo. Se una volta, prima dell’avvento di Elly, la sinistra aveva una classe dirigente più credibile, più riformista, oggi vedo solo giocatori intrisi di ideologie e con zero temi politici, pronti a indossare casacche con il proprio nome in cirillico. Citando solo alcuni deliri della deriva occidentale possiamo vedere come questi temi sono presenti in abbondanza sulle scrivanie del centrosinistra e certamente anche in quelle della destra, ma solo in quella più estrema e radicata (putiniani fascisti e antisionisti, che poi fa rima con antisemiti). Le grida sono: no alla guerra (già… verrebbe da dire “e grazie al cazzo”, sempre contenendo la volgarità e dandoci un minimo di aplomb), no all’invio delle armi in Ucraina (praticamente la pace del tiranno, in pieno stile Tycoon), no al genocidio dei palestinesi (più o meno 700.000 arabi nel 1948, anno di nascita dello stato ebraico, oggi sopra i 5 milioni nonostante i morti in campo palestinese dopo il 7 ottobre), e poi potrei andare avanti con altri temi, vediamo… questioni giudiziarie? Come sarebbe il governo di chi condanna lo stile medievale che avvolge l’Italia del 2024 ma poi va in piazza a Genova per mettere alla gogna un presidente di regione innocente fino a prova contraria? Mi fermo qui con le polemiche da salotto da porre in tv ai vari Travaglio e Orsini di turno, solo perché non rientrerei nei limiti delle battute. Di certo le questioni giudiziarie sono un altro tema che pesa a favore della bilancia Meloni: abolizione del reato di abuso d’ufficio, svuota carceri. Passiamo invece alle problematiche di questo governo: come già evidenziato dal direttore Cerasa il governo ha un bel po’ di soldini del Pnrr da spendere entro la fine del 2026, oggi siamo solo al 25 per cento di quella somma. Ed ecco che anche nei “peccati capitali” di questo governo tocca osservare comunque una nota positiva. Vi immaginate i soldi in mano al carrozzone messo su dal Pd con Conte o peggio ancora Bonelli-Fratoianni, la fiera del populismo, persone in grado di buttare soldi dei contribuenti mascherando l’operato con: il bene del popolo. Maduro chiama, il campo largo risponde. Certo, sembra di giocare al ribasso ma a volte il male minore è la scelta migliore. Ormai un mantra per chi vota in Italia. E qui potremmo collegarci alla classe dirigente, altro nodo critico per la premier, che però può contare su alcuni giganti come Crosetto, Tajani, Nordio. Tre cavalli liberali, europeisti e atlantisti che trainano e tengono sulla giusta strada la carrozza dell’esecutivo dove si annidano sovranisti e putiniani vari. A sorpresa potremmo aggiungerci Fontana con il suo sobrio parlare nella cerimonia del Ventaglio e il ministro Piantedosi, con il decreto Flussi e la sua condanna al fascismo espressa durante la cerimonia del 2 agosto scorso, in occasione della strage (di matrice neofascista) nella stazione di Bologna avvenuta nel 1980. Ora non ci resta che sperare nella nomina di qualche italiano in qualche posizione di rilievo nell’apparato europeo. La speranza è l’ultima a morire… Concludo con due temi in campo economico: abolizione del Rdc e del Superbonus. Se si guarda il dito sembrerebbe un qualcosa che viene levato, se si guarda la luna un qualcosa che non dovrebbe affatto essere dato. Altri due gol messi a segno dalla premier falso nueve, diventata un paradosso per noi liberali. Cara opposizione, più che fascismo, come dice il direttore, il problema di questo governo è il mollismo, l’immobilismo, l’incapacità di guardare al futuro e andare con il freno tirato. “Un occasione da sfruttare e non un nemico da cui difendersi”. Certo, sempre se non siete più molli di loro… “Mollo? Ma che mollo? Ma quale mollo??”. Ah come vorrei che fossero queste le parole dell’opposizione, invece credo proprio che per sentirle toccherà riaprire per l’ennesima volta su YouTube lo sclero di Malesani in quella famosa conferenza stampa.
Fabrizio Tiberi
Attore
La scuola. Bene il 4 + 2 dell’istruzione tecnica (riduzione del tradizionale quinquennio a quattro anni più due di formazione post diploma), ma il rischio è che si allunghi solamente di un anno il percorso di studio. Corretta l’analisi sul gap tra mercato del lavoro e formazione, ma docenti tutor e orientatori non sono la risposta, in quanto aumentano a dismisura il novero delle educazioni che frammentano l’attività didattica. L’esame di stato non funziona e non si ha il coraggio di renderlo oggettivo, per far sì che le scuole rendano conto del loro operato.
Manca una strategia complessiva, soprattutto non si mette mano ai decreti delegati sulla scuola, che rappresentano un’altra èra geologica. Gravi le sanatorie, cioè le immissioni in ruolo dei docenti per compiacere i sindacati, senza un vaglio effettivo. Gravissima la scelta del concorso riservato per dirigenti, che promuoverà tutti i “bocciati” nei precedenti concorsi che hanno fatto ricorso. Neo-docenti e neo-dirigenti inadeguati (e non saranno pochi) faranno danni enormi.
Alessandro Artini
(Ex preside di scuola superiore)
“Arzateve”, “quella stronza della Meloni”, la reazione all’inchiesta sui militanti di Gioventù nazionale, Donzelli, Del Mastro, Urso, Lollobrigida, Sangiuliano e Salvini, la mancata ratifica del Mes, l’incapacità di fare il salto nella maggioranza Ursula, cosa che era riuscita addirittura ai grillini. Eppure poteva andare molto peggio. Il teatrale governo Meloni, che passa le giornate a cercare temi per fare posturing (caso Carini docet), è riuscito a non far sbandare l’Italia, corroborando la tesi che per dare continuità a un governo uscente è necessario votare il partito all’opposizione. Il sostegno all’Ucraina – nonostante gli alleati di governo e in attesa del Samp/T – il posizionamento su Israele, le correzioni al Superbonus, il mantenimento della riforma Fornero e la continuità del taglio del cuneo fiscale dimostrano una discreta capacità di adattamento al principio di realtà, sostituendo la realpolitik a un programma elettorale che, fortunatamente, è stato tradito. Riuscirà Meloni a fare il salto di qualità? Probabilmente no, tra alleati alla ricerca del consenso e corporazioni da non scontentare (tassisti e balneari), quello che manca è il coraggio.
Giuseppe Cerullo
Infermiere
Egregio direttore, premetto che è anche mia la percezione di un’azione di governo col freno a mano tirato, di un governo che non ha rischiato di sbagliare; detto ciò, osservando a volo d’uccello questo quasi biennio meloniano: giusta e tempestiva la risposta penale alla deriva dei rave party, ottimo il ridisegno del reddito di cittadinanza, inevitabile la contemplazione del disastro del Superbonus, puntuale l’emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici.
Non mi esprimo su politica estera e fiscale, meritevoli di più ampio spazio: 6 politico, comunque. Per quanto concerne la Giustizia, auspicabile la riforma sulla separazione delle carriere e Csm, omissivo – come peraltro gli ultimi trenta esecutivi – sull’edilizia carceraria, a mio avviso uovo di Colombo del sovraffollamento senza rinunciare alla retribuzione penale: nessuno tocchi Caino, ma nemmeno Abele. Per finire, lodevole il voto contrario a von der Leyen (da parte di chi comunque ha pronunciato il discorso a Sharm del ’22 in Cop 27); riforme costituzionali: al premierato quasi non crede lo stesso governo mentre il seme dell’autonomia differenziata è stato messo a dimora nel 2001 in occasione della sinistrorsa riforma del titolo V. Tirando le somme l’acme rimane senza dubbio il “sono quella stronza della Meloni” che ha zittito ab aeterno ’o Governatore.
Saluti.
Nicola Di Sanzo
Dipendente pubblico
Caro direttore, pietà per Giorgia.
La lunga, lunghissima traversata nel deserto, per approdare al partito liberal-conservatore, è appesantita dai previsti carichi di una classe dirigente inadeguata (ma che solo confrontandosi con le responsabilità di governo potrà crescere), dall’immaturità dell’approccio da “underdog” ai temi della politica (una vita all’opposizione logora, si sa), dall’impossibilità o quasi di trovare soddisfacenti e qualificanti riscontri sulla scena europea (ah, se fossero rimasti in Europa i conservatori inglesi…), dalle varie ed eventuali della vita politica italiana, compresa la “grosse koalition” in cui la sinistra e la destra illiberali cercheranno a tutti i costi di soffocare la congiunzione della bambina ribelle con l’acqua pulita dell’imbattibile saggezza del moderatismo italiano.
Tutto vero quel che Lei dice, ma provi per un attimo a chiudere gli occhi, riaprirli, e non trovare più la Meloni sulla scena politica italiana… proprio tutto uguale ?
Antonio Fìna
Medico