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L'analisi

Occorre cambiare la procedura di nomina del Ragioniere

Antonio Misiani

Non è solo colpa di Biagio Mazzotta e delle sue dimissioni (arrivate dopo mesi di polemiche), ma ora si devono riprendere in mano tutte le regole legate alle nomine. Qualche idea

Le dimissioni del ragioniere generale dello stato, Biagio Mazzotta, sono arrivate dopo mesi di polemiche e pressioni senza precedenti. Al centro delle critiche la vicenda dei bonus edilizi, costati alle casse dell’Erario enormemente di più delle stime iniziali realizzate dal dipartimento Finanze del Mef e bollinate dalla Ragioneria. Un j’accuse largamente ingeneroso: nel 2020, in piena emergenza Covid e nel corso della peggiore recessione dal Dopoguerra, era oggettivamente difficile prevedere l’impatto di misure eccezionali come il Bonus facciate e il Superbonus. Introdotte in forma temporanea dal governo Conte 2 per ridare slancio a un’economia in ginocchio e successivamente prorogate durante il governo Draghi (ed estese, nel caso del Superbonus) su richiesta unanime di tutte le forze politiche, economiche e sociali. Tutte, comprese quelle allora all’opposizione (e oggi al governo). In un paese normale, spetterebbe innanzitutto a questi soggetti fare autocritica. In Italia, no. Il ragioniere generale dello stato è diventato, ben al di là delle sue responsabilità, un capro espiatorio funzionale all’autoassoluzione di tutti. E quindi sacrificabile.
 

Detto questo, il nodo da sciogliere oggi è quello evidenziato su questo giornale pochi giorni fa da Luciano Capone e Carlo Stagnaro: i criteri e le procedure di scelta del prossimo ragioniere generale. Il punto di partenza non può che essere la funzione peculiare svolta dalla Ragioneria generale dello stato (Rgs), che ha come principale obiettivo istituzionale quello di garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche.
 

Alla Rgs è delegata la fondamentale funzione della certezza e dell’affidabilità dei conti dello stato, nonché della verifica e dell’analisi degli andamenti della spesa pubblica. Sono di sua competenza la predisposizione dello schema di bilancio di previsione annuale, con i relativi provvedimenti di assestamento e variazione, del bilancio pluriennale dello stato, del disegno di legge Finanziaria e dei provvedimenti a essa collegati. La Rgs è chiamata a intervenire – in sede di esame preventivo – su ogni disegno di legge o atto del governo che possa avere ripercussione diretta o indiretta sulla gestione economico-finanziaria dello stato e ad assicurare l’uniforme interpretazione e applicazione delle norme contabili; a svolgere, attraverso l’attività ispettiva, funzioni di controllo anche sulla gestione finanziaria degli enti pubblici.
 

Il ragioniere generale dello stato è la figura che assicura l’unità di indirizzo e il coordinamento delle attività della Rgs e del sistema delle ragionerie da essa dipendenti. La sua peculiare collocazione istituzionale si riflette sia sullo stato giuridico sia sulla configurazione funzionale, conferendogli una posizione in larga misura atipica nel quadro della dirigenza amministrativa statale, una riconosciuta autonomia funzionale e l’attribuzione di rilevanti funzioni proprie. In passato, l’approfondita conoscenza della materia della contabilità pubblica e le elevate competenze professionali acquisite hanno sempre caratterizzato le scelte del governo nell’individuazione e nella nomina del ragioniere generale dello stato, spesso maturata all’interno della stessa Ragioneria o presso la Banca d’Italia.
 

Le recenti vicende rischiano però di aprire la strada a una oggettiva discontinuità con questa prassi e fanno emergere con forza la necessità di prevedere una diversa procedura di nomina del ragioniere generale dello stato, che nel rispetto dei caratteristici profili di professionalità che hanno da sempre contraddistinto tale figura, consentano una maggiore trasparenza delle procedure di nomina e il coinvolgimento nella stessa del Parlamento, con l’obiettivo di consolidare l’autorevolezza e la peculiarità di tale figura nel nostro ordinamento. È questo il motivo che ha spinto il Partito democratico a presentare un disegno di legge a mia prima firma per cambiare la procedura di nomina, prevedendo che il ragioniere generale dello stato può essere scelto tra personalità con requisiti di elevata esperienza professionale maturata in materia di politiche di bilancio e del coordinamento e verifica degli andamenti di finanza pubblica per la durata di almeno un quinquennio presso la Ragioneria generale dello stato, la Corte dei conti, la Banca d’Italia, la Banca centrale europea, l’Ufficio parlamentare di bilancio e le principali organizzazioni economiche e finanziarie internazionali. Secondo la nostra proposta il ragioniere generale dello stato è nominato con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Economia e delle Finanze e, al fine di garantire la trasparenza della relativa procedura, la designazione effettuata dal governo è sottoposta al previo parere delle commissioni parlamentari competenti, che possono procedere all’audizione della persona designata. La nomina è subordinata al parere favorevole espresso dalle predette commissioni a maggioranza dei due terzi dei componenti, analogamente a quanto previsto per la nomina del presidente dell’Istat.
 

Al fine di garantire l’indipendenza del ragioniere generale dello stato è altresì prevista una durata della carica di sette anni. Infine, si stabilisce che non possano ricoprire la carica di ragioniere generale dello stato coloro che abbiano ricoperto incarichi di governo o di diretta collaborazione di governo nei cinque anni precedenti alla nomina.
 

La nomina del ragioniere generale non è una questione da poco. Parliamo della guida di una struttura di cruciale importanza, incaricata di verificare la tenuta dei conti pubblici in un paese con un debito pubblico gigantesco, ormai vicino ai tremila miliardi di euro. Per ricoprire questo ruolo chiave non serve un fedelissimo (o una fedelissima) del ministro dell’Economia di turno, ma una figura caratterizzata dalla massima autorevolezza e indipendenza possibile. Per garantire il rispetto di questi criteri in una stagione politica caratterizzata da un’occupazione militare da parte della maggioranza di qualunque postazione di potere, le consuetudini non bastano più. Servono nuove regole.