Bollinare non basta

Più che una riforma alla Ragioneria di stato serve una nuova logica

Nicola Rossi

Le recenti discussioni attorno all'istituzione e la necessità che resti legata al ministero dell'Economia. Indipendenza e trasparenza, ma non solo: cosa deve prevedere una riforma della Rgs. Qualche spunto di riflessione

Le recenti vicende relative alla Ragioneria generale dello stato hanno indotto alcuni autorevoli commentatori a ricordare l’importanza della indipendenza del Ragioniere generale dello stato nell’esercizio delle funzioni e a richiedere, addirittura, una riforma della stessa Ragioneria intesa, in particolare, oltre che a rafforzarne la competenza e l’indipendenza, a riformare le procedure di nomina del Ragioniere generale avvicinandole a quelle già in vigore per alcune Autorità indipendenti quali l’Ufficio parlamentare di Bilancio o l’Istituto nazionale di Statistica.
 

Ora, se un generico richiamo all’indipendenza del Ragioniere generale dello stato – e della Ragioneria generale dello stato tutta – non può che essere condiviso, è assai meno facile sottoscrivere l’invito a una riforma della Ragioneria generale nel senso appena indicato (ed è francamente sorprendente la superficialità con cui la proposta sia stata ripresa dal principale partito di opposizione che addirittura vorrebbe subordinare la nomina del Ragioniere generale dello stato al parere delle commissioni parlamentari competenti e cioè di una delle principali controparti dello stesso Ragioniere). La Ragioneria generale dello stato nasce nella sua attuale configurazione dopo una lunga gestazione, nel 1923 su iniziativa di Alberto de’ Stefani (e se proprio non si può fare a meno di tenere in salotto un busto relativo a quei decenni, beh de’ Stefani lo meriterebbe più di molti altri). E nasce proprio per consentire al Tesoro un controllo della spesa terzo ed efficace (e a distanza di braccio, in primis, dagli stessi ministeri). Un controllo di cui lo stesso Mussolini ebbe modo di lamentarsi e, con lui, molti altri presidenti del Consiglio anche in epoca molto recente. In questo senso la Ragioneria generale dello stato è quanto di più lontano dal modello dell’Autorità indipendente (intendendo con ciò un ente sottratto all’indirizzo politico-governativo): essa è, al contrario, uno snodo essenziale della Pubblica amministrazione di cui è parte integrante. Diversamente dall’Ufficio parlamentare di Bilancio – frutto, sia detto per inciso, di una riforma costituzionale che ha completato l’opera di demolizione del costituzionale principio del pareggio di bilancio avviata dalla Corte costituzionale nel 1966 – la Ragioneria generale dello stato non ha come controparte il governo, essendo essa stessa una articolazione cruciale della amministrazione. È, in altre parole, del tutto ragionevole che la nomina del Ragioniere generale dello stato sia questione di competenza del ministro dell’Economia e del governo, su cui ricade la responsabilità di assicurare che la Ragioneria generale dello stato sia guidata da personalità competenti in grado di garantire l’indipendenza e la trasparenza dei comportamenti della Ragioneria nel suo insieme e di ogni suo singolo funzionario.
 

Indipendenza e trasparenza che meritano qualche parola di commento. L’idea che le stime della Ragioneria generale dello stato relative a questo o a quel provvedimento debbano essere, di volta in volta, precedute da un pubblico dibattito è attraente solo in apparenza. Prescindendo da aspetti meramente pratici, l’indipendenza della Ragioneria generale dello stato è fondata sull’assunzione piena ed esclusiva di responsabilità da parte della Ragioneria stessa circa la valutazione dei rischi per la finanza pubblica impliciti in ogni singolo provvedimento di spesa (e resi espliciti, solitamente, nella relazione che lo accompagna). Ogni condivisione di quella responsabilità – inevitabile in presenza di un dibattito pubblico – non farebbe che diluire l’indipendenza della Ragioneria. Il che non esclude, anzi raccomanda vivamente, che la Ragioneria sia assai più generosa di quanto non sia oggi nel comunicare le proprie metodologie di valutazione sottoponendole – in questi termini generali – alla valutazione del pubblico.
 

Tutto ciò premesso, che la storia della Ragioneria generale dello stato sia punteggiata da sottovalutazioni delle spese e sopravvalutazioni delle coperture è notorio. E che l’indipendenza del Ragioniere generale dello stato sia una questione sempre aperta è storia altrettanto nota e certamente non recente: valgano per tutti i nomi di Gaetano Stammati e Vincenzo Milazzo (Ragionieri generali dello stato negli anni 70 e 80) cui non è facilissimo associare il termine “indipendenza”. Meno nota, a onor del vero, è la storia dei “no” opposti dai Ragionieri generali dello stato a questa o quella bislacca iniziativa di esponenti dell’esecutivo o del Parlamento. E il fatto che ancor oggi si ricordi il mitico ragionier Vitantonio De Bellis – Ragioniere generale dello stato fra il 1919 e il 1932 e, per l’appunto, semplicemente un “ragioniere” – per i “no” che seppe pronunciare di fronte al cavalier Mussolini non implica che altri “no” (in forme e modi forse diversi) non siano stati pronunciati. Il che non comporta che non sia opportuno ribadirne l’opportunità o, anzi, in molti casi, la necessità.
 

Ma forse dovremmo, in primo luogo, interrogarci sulla natura della principale domanda cui il Ragioniere generale dello stato deve quotidianamente rispondere. La cosiddetta “bollinatura” – che lo stesso Mussolini (che pure voleva che il Ragioniere generale dello stato fosse “un ragioniere, soltanto un ragioniere”) pretese dai suoi ministri – certifica la corretta quantificazione dell’onere recato dal provvedimento e l’idoneità della relativa copertura finanziaria. Un quesito formalmente ineccepibile ma logicamente zoppicante. Nella stragrande maggioranza dei casi, la domanda consente solo una risposta condizionata alle ipotesi che si ritiene di poter fare sui comportamenti dei singoli direttamente o indirettamente influenzati dallo specifico provvedimento. Come tale, più che certificare la probabile entità delle risorse coinvolte e l’adeguatezza delle coperture, la bollinatura deve (o dovrebbe) soprattutto certificare l’assenza di rischi significativi – in termini strettamente probabilistici – per il bilancio dello stato. Se, piuttosto che accontentarsi di indicare una cifra (giusta o sbagliata che fosse sulla base delle informazioni del tempo), il Ragioniere generale dello stato si fosse posta questa domanda a proposito del Superbonus, forse ci saremmo risparmiati non pochi problemi.

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