Un viaggio

I lord del Mef. I nuovi potenti di Giorgetti, gli umori, i dualismi di un ministero melonizzato

Carmelo Caruso

La figura centrale di Marcello Sala, dg partecipate, e il vecchio apparato che si lega al dg del Tesoro, Barbieri. Dopo Mazzotta l'altro ruolo in bilico è quello del direttore Finanze

 Il più dolce “colpo di stato” è del ministro con il senso di stato, Giancarlo Giorgetti. Il direttore generale delle partecipate, Marcello Sala, il lord Mef, è di sua fiducia, il nuovo ragioniere, Daria Perrotta, il cigno di stato, è di sua fiducia, il capo del legislativo, anche lui, Raphael D’Onofrio, sarà di sua fiducia. Il prossimo che potrebbe lasciare, e lo dicono gli orfani di Biagio Mazzotta, l’ex ragioniere andato a Fincantieri, è Giovanni Spalletta, il direttore generale delle Finanze. E’ il funzionario, l’uomo delle stime Superbonus, stime che anche per l’ex Ragioniere erano “opinabili”. Il Mef è stato preso, scalato, nel silenzio, dai lord di Giorgetti, i suoi gentiluomini di campagna.


Meloni e Giorgetti misureranno presto gli effetti del loro tenero “colpo di stato”, la sostituzione di funzionari ministeriali, i padreterni di questo ministero, un tempo inespugnabile. Quando Biagio Mazzotta ha salutato i colleghi, gli affezionati gli hanno lanciato questo appello: “Biagio, torna presto! Ti aspettiamo”. Mazzotta, presidente di Fincantieri, è convinto di andare all’Elba, e poi rientrare al Mef, tra un anno e mezzo, quando immagina la fine dell’impero Meloni e Giorgetti, e di riprendersi la sedia di Perrotta. Le sostituzioni del governo Meloni sono ora definite dai dipendenti del ministero, “un fenomeno mai visto neppure negli anni di Tremonti”, “la giorgettizzazione è il primo caso di politicizzazione del Mef, la prima volta nella Repubblica”. Significa che la struttura si sta preparando alla guerra silenziosa. L’altra nomina imminente, dopo Perrotta, è quella del nuovo capo del legislativo che dovrebbe essere Raphael D’Onofrio, il vice di Perrotta, da ex capo del legislativo di Giorgetti. Quando a inizio governo il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera è stato sollevato, il primo a lasciare nobilmente, il suo incarico è stato affidato a Riccardo Barbieri Hermitte, attuale il dg del Tesoro o meglio uno dei dg. Giorgetti ha prima diviso le funzioni del dg e poi ha nominato alle partecipate Sala, il lord, ex vicepresidente di Banca Intesa, un lombardo apprezzato dalla prima Lega di Bossi, curatore fallimentare della Euronord, amico di Giuseppe Guzzetti, l’intramontabile della finanza da fondazione. Barbieri si occupa delle questioni internazionali, Sala gestisce i dossier come quelli Ita-Lufthansa.

E’ senza dubbio un brianzolo che si protegge da Roma e ha assemblato una sua squadra, valorizzato dirigenti come Roberto Ciciani, Olga Cuccurullu, Stefano Di Stefano. Sono dirigenti che si muovono al Mef con sicurezza perché godono di uno schermo politico fortissimo, quello del ministro. Resta però l’altra anima, l’antica, quella di Mazzotta, e dello stesso Barbieri, anima che sussurra: “Cosa accadrà quando gli uomini di Giorgetti non avranno più a protezione del ministro? Sala ha pieni poteri e Perrotta i super poteri”. Quella di Barbieri si riteneva fosse una nomina di transizione ma Giorgetti ha iniziato a valutarne le qualità. Barbieri e Rivera erano i soli ad avere dimestichezza nelle sedi politiche internazionali, Sala si muove invece con agilità in altre sedi, sui mercati. E Sala è adesso il bersaglio. Nelle settimane scorse è stato contrapposto a Barbieri su Cdp, in una sorta di competizione per sedersi nel cda. Si sta muovendo contro Sala la capitale palazzinara, un sottosuolo di massaggiatori da partecipate di stato. Il duo, Sala e Barbieri, non si addice al Mef. Barbieri, che era il capo economista, ha scelto il suo successore, Ottavio Ricchi, e lentamente ha preso nell’immaginario del ministero le sembianze della tradizione, dell’uomo che tiene ancora alta la terzietà della struttura, una struttura che vive lo sdoppiamento come condizione. Oltre ai due dg anche le funzioni politiche sono sdoppiate.

Giorgetti è il ministro, ma Maurizio Leo è il quasi ministro, il viceministro con delega al Fisco. Anche alle conferenze stampa si presentano in due. Dunque, ci sono due dg ma anche due aree. C’è quella di Giorgetti e quella di Leo che ha un superdirettore, una volpe di cognome e di fatto. E’ Italo Volpe, inquadrato come vicecapo di gabinetto al Mef, storico dirigente che lavora con Leo. La conflittualità  aumenta tanto più ora che si parla della nuova soluzione Mazzotta da riservare anche a Spalletta, direttore generale delle Finanze, che ha preso il testimone di Fabrizia Lapecorella, vicesegretario Ocse, altra a cui Mazzotta ha sempre contestato le stime Superbonus. Spalletta nella geografia del Mef è un altro tradizionalista, come l’altro dirigente antico, Davide Iacovoni, che guida la direzione debito pubblico, uno abituato ad atterrire i governi, a spaventarli, uno che il colonnello Kurtz Fazzolari, il vegetariano, metterebbe a tacere così: “Prima prendi i voti e poi mi dai consigli”. E di consiglieri Giorgetti ne ha due, influenti.

Uno è Fabio Pammolli, che ascolta musica giapponese, Sakamoto, per rilassarsi, e l’altro è Enrico Zanetti, l’ex sottosegretario. Un altro lord è Riccardo Ercoli, capo della segreteria tecnica di Giorgetti, un altro della Luiss, che il governo ha inserito nel comitato tecnico del Piano Mattei. Il Mef stravolto è un Mef dove è stata istituita una commissione per redigere una relazione sull’economia non osservata. Al suo interno c’è Renato Loiero, il consigliere economico di Meloni, ma anche Riccardo Puglisi, docente di Scienze delle Finanze a Pavia. E’ al Mef che si può registrare la lucidità, e in un certo senso, la precisione spietata di Meloni e Giorgetti, la tecnica per una volta diversa: mettiamo i nostri, i leali, gli attaccabili, ma dalla storia inattaccabile.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio