Il duello
Il tango Pier Silvio Berlusconi-Meloni che vuole una Rai modello Leonardo
Le idee della premier sulla tv di stato, privatizzata, mista pubblico-privato e senza tetto per l'ad, sono in conflitto con Mediaset e il suo editore che si prepara allo scontro con il governo
Nasconderlo, perché? Pier Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni si stanno preparando al contrasto, alla durezza e all’incomprensione. L’idea di Meloni, la possibile privatizzazione Rai, è solida, rigorosa e confligge con gli interessi di Mediaset. Meloni non è ricattabile, lo ha imparato Silvio Berlusconi, ma il figlio è pronto? La premier può ancora dimostrarlo trasformando la Rai in una partecipata, misto pubblico/privato, modello Leonardo, eliminando il tetto per il compenso dell’ad, fermo a 240 mila euro. Leonardo è la partecipata dove ha funzionato il metodo Meloni, dove la premier ha scelto, scontentando tutti, anche i suoi, l’ad Roberto Cingolani. Il ballo di Meloni è ora l’ultimo tango a Cologno.
I diritti civili (agitati da FI) valgono un governo ma anche la pubblicità. Forza Italia su spinta della famiglia Berlusconi ha cambiato la sua agenda, sta trovando un suo spazio preciso, favorito anche dalla scelta di Meloni in Europa. Meloni sta a destra, FI è un partito liberale, popolare, e Pier Silvio Berlusconi ripete “responsabile”. FI è anche il partito che per responsabilità ha fatto parte del governo Letta. Alla Camera, FdI non dice più: “Pier Silvio non si candida” ma ribalta la domanda: “E che fa, sfida Meloni?”, “Mediaset non lo sa che finora Meloni sulla Rai si è fermata per rispetto?”. Meloni e Giorgetti pensano da tempo che con il tetto da 240 mila euro, aziende come la Rai, non saranno mai governate da manager capaci di rischiare, ottenere profitti. Nel privato i manager ricevono compensi considerevoli ma gli azionisti possono sfiduciarli in qualsiasi momento. E’ la ragione che permette alle partecipate di stato, Eni, Enel di dominare il mercato. Sono partecipate guidate da manager come Flavio Cattaneo e Claudio De Scalzi. Oggi nessun manager di razza accetterebbe di guidare la Rai a 240 mila euro, caricarsi un’impresa dove il conflitto sindacale è quotidiano. Meloni quando ragiona di privatizzazione immagina l’entrata di azionisti nel capitale e con gli azionisti anche il superamento del tetto. La quota di maggioranza resterebbe al pubblico ma il resto delle azioni può essere andare sul mercato. E’ stato il Foglio, il direttore Claudio Cerasa, a raccontare, per primo, che Meloni non esclude la privatizzazione. Il primo agosto, Giuliano Ferrara, sempre sul Foglio, nel suo editoriale dal titolo “Oggi privatizzare la Rai non vuol più dire ammazzare la tv commerciale. Che si aspetta?”, chiede a Meloni di avere coraggio. Ora, con lo stesso coraggio, i parlamentari di FdI, i pochi che entrano a Palazzo Chigi, agitano l’editoriale di Ferrara.
Lontano c’è la famiglia Berlusconi, una famiglia che non ha decifrato Roma. In Transatlantico, tra i deputati di FdI circola questa battuta: “La famiglia Berlusconi legge Adelphi, ma forse dovrebbe leggere le pagine di politica”. Pier Silvio Berlusconi sa chi è Fazzolari, uno che vale quanto il suo Mauro Crippa? La Lega in questa partita sta con Meloni. Le sussurra: “Facciamolo, privatizziamola”. Salvini ha paura che un protagonismo di Pier Silvio Berlusconi possa fare crollare la Lega e spinge. Spinge. Mediaset è per il bipolarismo, per una Rai in mano pubblica, anche perché questa Rai compromessa, sospesa, è la sua fortuna. Barbara D’Urso, volto Mediaset, stava per firmare per la Rai, ma questa Rai non è riuscita neppure a fare uno sgarbo a Mediaset. E sarebbe stato un grande sgarbo a una televisione sempre più nelle mani di Pier Silvio, un Pier Silvio che sta cambiando. Il suo sorriso è una maschera. C’ è un altro Pier Silvio, un editore che vuole piacere, comandare, uno che ha disfatto i palinsesti per aprire spazi e nuovi mercati. E’ un editore che si impermalosisce, un editore che comincia a curare il racconto della sua figura. Un Berlusconi.