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l'editoriale del direttore

Fratelli di Bolkestein sotto l'ombrellone: viva la Meloni europeista

Claudio Cerasa

Perché sostenitori e nemici di Meloni sono andati in tilt sulla mini serrata dei balneari contro il governo. C’entra il vincolo esterno, che ha cambiato la destra. E c’entra un tema: fino a quando la premier potrà reggere promettendo una cosa e facendo l’opposto? Il pazzo ma efficace europeismo italiano oltre Ursula

Ombrelloni chiusi in spiaggia, ma ombrello aperto in Europa. C’è una ragione precisa per cui molti osservatori, di destra e di sinistra, hanno raccontato con discreta superficialità ciò che è successo la scorsa settimana, quando, tra le 7.30 e le 9.30 di venerdì 9 agosto, diversi stabilimenti balneari italiani hanno scelto di chiudere per qualche ora i battenti, o meglio gli ombrelloni, per protestare contro il governo guidato da Giorgia Meloni, che nonostante le promesse elettorali non è riuscito a fare quello che aveva assicurato prima di andare al governo, ovverosia bloccare le gare delle concessioni balneari e spostare, come hanno fatto tutti i governi negli ultimi quindici anni, la proroga ancora un po’ più in là, evitando cioè con cura di ottemperare a una famosa direttiva comunitaria, la Bolkestein, che dal 2006 prevede che, in termini di concessioni balneari, “l’autorizzazione rilasciata al prestatore non ha durata limitata”, e che per questo sia necessario fare delle aste per assegnare la gestione delle spiagge e delle aree demaniali. 

 

Di fronte a questa mini serrata, l’imbarazzo è stato trasversale, sia a destra sia a sinistra, ma la ragione è simmetrica e c’entra con una parola che sul Foglio di oggi troverete ripetuta spesso nel girotondo che abbiamo dedicato ai primi 650 giorni del governo Meloni: coerenza, oh yes. L’imbarazzo a destra è evidente e non ci vuole molto a capire cosa significhi per la destra scettica sull’Europa ritrovarsi con una categoria inferocita con il governo per le sue scelte eccessivamente europeiste. L’imbarazzo a sinistra è altrettanto evidente e non ci vuole molto a capire cosa significhi per l’universo antimeloniano dover fare i conti con chi rimprovera a Meloni di essere troppo europeista. Il cortocircuito c’è, ma nessuno sembra volerlo cogliere, nessuno sembra volerlo valorizzare, perché per entrambe le parti in commedia significherebbe fare i conti con la realtà.

A destra si dovrebbe ammettere che Meloni è cambiata e che su alcuni temi è diventata più europeista dei suoi avversari. A sinistra si dovrebbe ammettere che Meloni è cambiata e che su alcuni temi è diventata un argine contro le isterie antieuropeiste. La storia dei balneari è significativa per quello che si è raccontato – i balneari che si ribellano contro il governo – ma è significativa anche per un’altra storia che ha raccontato Luciano Capone sul Foglio qualche settimana fa e che dimostra che la Bolkestein questo governo non l’ha subita ma l’ha assecondata. Lo scorso 24 giugno, come qualcuno ricorderà, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale una legge della regione Sicilia, quella che riguardava le proroghe al 2033 delle concessioni balneari, l’ennesimo tentativo di aggirare la direttiva Bolkestein, e la particolarità di questa sentenza è che a sollevare la questione contro la legge pro balneari fatta tra l’altro da una regione di centrodestra è stata indovinate chi? Proprio lei. Proprio Giorgia Meloni. E indovinate cosa ha fatto Meloni con la Corte? Ha invocato esplicitamente il rispetto della direttiva Bolkestein, lamentando la violazione dell’art. 12 della direttiva europea che impone agli stati membri dell’Ue di mettere a gara le concessioni demaniali in scadenza, vietando il ricorso alle proroghe automatiche ex lege. Partita vinta. Niente proroghe. Niente coerenza. Molto pragmatismo. Molto imbarazzo.

Si potrebbe pensare che la storia della Bolkestein sia un caso isolato, una forzatura passeggera, una rondine che non fa primavera. Ma la verità è che il vincolo esterno, un tempo odiato e combattuto dalla destra meloniana, è diventato un tratto identitario importante di questo governo. E ogni volta che la destra meloniana si trova costretta a scegliere, in Europa, tra la rottura e il pragmatismo, a prevalere spesso è la seconda scelta, tranne nei casi in cui la rottura non si associa automaticamente a un prezzo da pagare (come è stato il caso Ursula, come è stato il caso del Mes, su cui torneremo tra qualche riga). E così, prima della Bolkestein, non è difficile individuare alcuni casi clamorosi di scelte meloniane maturate in simbiosi con l’odiatissimo vincolo esterno.

Il primo caso riguarda la gestione del debito pubblico e il freno al Superbonus: anche qui, in campagna elettorale, la destra aveva promesso che non avrebbe toccato i bonus edilizi, e invece alla fine la destra favorevole al Superbonus ha dovuto mettere un freno per evitare di far scoppiare il debito pubblico e violare le regole europee. Stessa storia su due importanti trattati europei, il nuovo Patto di stabilità e il patto sui migranti, che il governo italiano ha approvato in Consiglio europeo, lasciando poi libertà di voto ai propri parlamentari europei nel momento della ratifica in Parlamento, a dimostrazione che il populismo sull’Europa è diventato ormai un puro atto dimostrativo, sempre pericoloso ma non così pericoloso come votare contro un trattato. Stessa storia su Mps, in fondo, perché la privatizzazione della banca di Siena, controllata dal Mef, è stata prevista entro la fine del 2024 non perché è il governo che vuole così ma perché le tempistiche sono dettate dalla Commissione europea, che ha individuato quella scadenza come termine ultimo per non considerare la partecipazione del Mef come un aiuto di stato. Stessa storia anche per Ita, dove il vincolo esterno ha pesato nella misura in cui l’Unione europea, in forme diverse, da anni spinge per l’affermazione di una soluzione di mercato, capace di accoppiare l’integrazione delle economie europee e il rispetto rigoroso della concorrenza, altro che sovranismo economico. E stessa storia, infine, per il voto dato dal governo, a fine 2023, al provvedimento che ha permesso all’Italia, anche qui dopo interminabili proroghe, di porre fine, all’inizio del 2024, al mercato tutelato per l’energia elettrica e il gas.

 

Anche qui, Giorgia Meloni ha scelto di ascoltare più il richiamo del vincolo esterno (c’entra il Pnrr) che il richiamo della foresta (il nazionalismo) e anche qui come in molte altre partite ha scelto di fare il possibile per non far perdere all’Italia la traiettoria europeista (discorso che vale ovviamente anche per il Pnrr, il massimo del vincolo esterno, con un programma di finanziamenti previsti per l’Italia a fronte di un programma di riforme piuttosto rigido e ambizioso, altro che Mes). Si dirà: ma come si combina tutto questo con il no a Ursula e il no al Mes? Semplice. Sulle partite in cui Meloni pensa di poter declinare il suo euroscetticismo senza pagare un prezzo, il governo osa. Sulle partite in cui Meloni capisce che il suo euroscetticismo sarebbe dannoso per l’Italia, arretra.  E in fondo, salvo qualche eccezione, il governo negli ultimi mesi ha fatto più o meno volontariamente delle cose che neanche un governo tecnico forse avrebbe fatto. Non si può dire che Meloni rivendichi queste svolte, anzi spesso sembra quasi che se ne vergogni, ma quel che si può dire è che fino a oggi quando il governo si è trovato di fronte al bivio tra europeismo sfrenato ed euroscetticismo suicida ha sempre preso la strada giusta. E vedere i balneari da una parte e Meloni dall’altra dovrebbe far esultare tutti coloro che sognano di avere una Meloni sempre meno antieuropeista e sempre più antifascista. Naturalmente il problema esiste ed è lecito chiedersi fino a che punto Meloni possa reggere dicendo una cosa e facendo l’opposto. Ma per il momento, finché regge, lunga vita ai fratelli di Bolkestein.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.