l'intervista
"Conte sbaglia a chiedere il ritiro dell'ambasciatore a Tel Aviv". Parla Sergio Romano
"Una volta interrotti i rapporti diplomatici difficilmente si può far pesare la propria posizione sul piano internazionale", dice l'ex ambasciatore, bocciando la richiesta di Conte. Che su Regeni non fece nulla
Richiamare l’ambasciatore italiano in Israele? “Sarebbe un errore pericoloso”, dice al Foglio Sergio Romano, ex ambasciatore, storico ed editorialista, commentando la richiesta del leader del M5s Giuseppe Conte di ritirare il nostro diplomatico a Tel Aviv dopo l’ultimo attacco israeliano a Gaza. “Si può dissentire, si può dire pubblicamente se non si è d’accordo con le azioni di un altro stato, ma è sempre meglio mantenere i rapporti diplomatici, perché una volta interrotti si può fare ben poco e difficilmente si può far pesare la propria posizione sul piano internazionale”, spiega Romano.
Una decisione del genere sarebbe anche pericolosa, aggiunge l’ex ambasciatore (alla Nato dal 1983 al 1985, in Unione sovietica dal 1985 al 1989): “La scelta sarebbe pericolosa perché certi errori vengono spesso imitati. Intendo dire che altri paesi potrebbero prendere posizioni analoghe. Ma la comunicazione internazionale, soprattutto con un paese importante come Israele e nella situazione di oggi, non deve essere intaccata”.
L’appello di Conte risulta ancora più paradossale se si considera che, come confermano autorevoli fonti diplomatiche a questo giornale, fu proprio l’allora premier grillino – durante i governi Conte uno e Conte due – a rigettare più volte la richiesta avanzata dai genitori di Giulio Regeni di richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo per la mancata collaborazione del governo egiziano nell’indagine sulla tortura e sull’uccisione del ricercatore italiano.
Tra il 2018 e il 2020, i genitori di Giulio Regeni chiesero più volte pubblicamente al governo italiano di richiamare l’ambasciatore al Cairo, Giampaolo Cantini, come forma di protesta per l’assenza di collaborazione delle istituzioni egiziane (e per i probabili depistaggi) nell’inchiesta sull’uccisione del ricercatore, avvenuta tra gennaio e febbraio 2016. “Dichiarare l’Egitto paese non sicuro e richiamare i nostri ambasciatori potrebbe essere un segnale forte di pretesa di rispetto dei diritti umani”, scrissero per esempio Paola e Claudio Regeni nel giugno 2019 in una lettera ai deputati delle commissioni Esteri della Camera e del Bundestag tedesco.
La proposta venne reiterata nei mesi successivi, in particolare dopo gli incontri fallimentari tra i procuratori italiani e quelli egiziani: “Nonostante le continue promesse non c’è stata da parte egiziana nessuna reale collaborazione. Solo depistaggi, silenzi, bugie ed estenuanti rinvii. Richiamare l’ambasciatore oggi è l’unica strada percorribile”, affermò la famiglia Regeni il primo luglio 2020.
Il premier Giuseppe Conte non accolse mai la richiesta.
Insomma, quando Conte era al governo a prevalere era la realpolitik, che imponeva la tutela degli interessi italiani pur a fronte di una vicenda grave come quella di Giulio Regeni e l’appello esplicito dei familiari di quest’ultimo; ora che Conte è all’opposizione la logica populista domina qualsiasi riflessione sulla guerra fra Israele e Hamas, tanto da spingere il leader M5s a chiedere il richiamo dell’ambasciatore a Tel Aviv, un’azione che relegherebbe l’Italia ai margini dei negoziati internazionali sulla delicata situazione in medio oriente.
C’è da dire che la proposta di Conte ha diviso il campo largo del centrosinistra. Se Alleanza verdi e sinistra si è unita ai grillini nel chiedere di richiamare l’ambasciatore in Israele, Luca Ferrari, il Partito democratico non pensa che sia questa la strada da percorrere. La linea populista va bene, ma fino a un certo punto.