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il colloquio

Tutti i dubbi sul piano per l'Africa di Meloni 

Giulia Pompili

Al Piano Mattei servono partner internazionali, ma non la Cina. “Parlare con Pechino? Prematuro”, dice Giangiacomo Calovini (FdI)

L’immigrazione e l’Africa sono il principale argomento della politica estera della premier Giorgia Meloni. A un anno e dieci mesi dall’inizio del suo incarico l’ha fatto capire in tutti i modi: nei dialoghi bilaterali, nelle piattaforme internazionali come il G7, perfino alla Nato – anche se la scommessa di ottenere il posto da inviato speciale per il Fianco sud non l’ha vinta. Meloni ha dato concretezza politica alla sua fissazione africana nel cosiddetto “Piano Mattei”, presentato anche in un vertice in pompa magna con alcuni leader africani il 29 gennaio scorso al Senato, senza grossi dettagli e ben poco operativo. “Una nuova filosofia”, diceva Meloni.

 

Per mesi nelle ambasciate romane la domanda era una: ma alla fine ‘sto Piano Mattei cos’è? Nelle ultime settimane il tentativo di dargli una cornice concreta è accelerato: il 30 luglio è stato approvato il decreto che istituisce il comitato tecnico per il Piano Mattei – presidente è, non a caso, Fabrizio Saggio, attuale consigliere diplomatico di Meloni – e la scorsa settimana la commissione Esteri della Camera ha approvato il testo del decreto della presidenza del Consiglio di adozione del Piano strategico Italia-Africa, con parere contrario delle opposizioni. La vicepresidente della commissione Esteri Lia Quartapelle, del Partito democratico, che è stata anche responsabile del programma Africa del think tank Ispi, ha scritto su X: “Il Piano Mattei dovrebbe essere il progetto più ambizioso della politica estera di Meloni. Finora è poca cosa: zero nuove risorse, tanti progetti riciclati, e accentramento a Palazzo Chigi. Più che un Piano con l’Africa, un Piano Marketing che usa l’Africa”.

 

E in effetti i primi 5,5 miliardi di euro tra crediti donazioni e garanzie per i progetti arriveranno in parte dal Fondo italiano per il clima (3 miliardi) e poi dai fondi per la Cooperazione allo sviluppo (2,5 miliardi). “Le critiche mosse dall'opposizione sono comprensibili ma non tengono pienamente conto della complessità e della flessibilità del quadro finanziario delineato”, dice al Foglio Giangiacomo Calovini, deputato di Fratelli d'Italia e membro della commissione Esteri. Nei giorni scorsi c’è stato un comunicato congiunto tra Cassa depositi e prestiti e Banca Africana di Sviluppo per un finanziamento di ulteriori 200 milioni di euro, spiega Calovini, e altri finanziamenti il governo si aspetta di averli dal  coinvolgimento di istituzioni finanziarie internazionali e banche multilaterali di sviluppo. Il parere favorevole della commissione dovrebbe dare il via libera operativo al Piano, ma secondo Calovini anche nei mesi scorsi si è fatto molto, per esempio con le “nove missioni governative in Africa di cui tre della premier”. Ma il punto resta cruciale: per far funzionare un piano ambizioso, quello Meloni vuole lasciare in eredità della sua presidenza, servono certo soldi, fonti, ma pure una capacità diplomatica che tenga conto dei rischi. A maggio scorso Meloni è perfino volata dal generale libico Haftar, il miglior alleato di Putin in nord Africa, per parlare di Piano Mattei. Secondo Calovini “per il governo è importante far progredire il processo politico con tutti gli attori libici. Se non si porta avanti un dialogo con Haftar si rischia di lasciare le interlocuzioni ad altri attori ed è una cosa da evitare nell’interesse di tutti”. 


Parlare con tutti, vuol dire anche farlo con il leader della Repubblica popolare cinese. Non è sfuggito agli alleati dell’Italia che Meloni sia stata l’unico capo di governo a non aver menzionato la questione dei diritti umani, dopo la sua prima missione a Pechino di fine luglio. Nei giorni scorsi, qualcuno proponeva un vecchio adagio di un patto per l’Africa fra l’Italia e la Cina – unica vera potenza in concorrenza con la Russia nella regione: “Pensare a cooperazioni con Pechino in un continente come quello africano mi pare prematuro”, dice Calovini. “Dopo la necessaria uscita dalla Via della Seta il Governo ha riposizionato l’Italia nella tradizionale alleanza atlantista ed europeista ed al fianco dell’Ucraina dopo l’aggressione russa del 2022. Con la Cina si è deciso, in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, di mantenere un dialogo costruttivo. Tuttavia le divergenze rimangono”. Per Calovini “la strategia che Pechino ha messo in atto verso questi paesi è molto differente da quella che noi auspichiamo. È chiaro quindi che risulterebbe più semplice collaborare con i nostri partner europei che alla conferenza di Roma hanno mostrato particolare interesse, e lo mostrano ancora, per il Piano Mattei”. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.