Francesco Billari (LaPresse)

Il colloquio

Billari, rettore della Bocconi: “Più nascite? La priorità è accrescere il capitale umano”

Davide Perillo

Per il rettore, una sola politica non basta, non esistono ricette magiche. “Prima del sostegno alla natalità viene quello alla genitorialità. In Germania anni fa hanno fatto il Kindergeld ma le nascite continuavano a calare. Allora hanno allungato anche l’orario scolastico e messo in campo altre misure"

“Ha presente gli orologi classici, quelli con le lancette? Ecco, la politica è la lancetta dei secondi: si muove veloce, cambia in fretta e ha bisogno di decisioni da prendere ora. L’economia ha un ritmo più lento, è come quella dei minuti. Ma la lancetta più importante è quella più corta: le ore. Sembra immobile, ma in fondo è lei a segnare il tempo. E la demografia è così: è fatta di fenomeni lenti, nascosti all’attenzione, ma carichi di conseguenze”. L’immagine la prende da Alfred Sauvy, tra i maestri della disciplina nel Novecento. Ma ragionando su quell’intreccio fra tempo e urgenze Francesco Billari, 53 anni, rettore (fresco di rinnovo) dell’Università Bocconi e demografo pure lui, svolge riflessioni che riguardano tutti, non solo gli addetti ai lavori. 

In un contesto politico così imbizzarrito da trasformare ogni previsione in azzardo, la demografia offre certezze (relative) intrecciate con tutto. Per dire, il fatto che a questi ritmi di natalità congelata (1,2 figli per donna in età fertile) gli italiani nel 2040 saranno tre milioni in meno e molto più vecchi (siamo già il terzo paese al mondo per quota di over 65, dopo Monaco e Giappone) è un dato di fatto, difficilmente reversibile e con impatto enorme su lavoro, pensioni, sanità e via dicendo. E sono certezze che costringono, in qualche modo, a essere strabici, a guardare l’oggi con un occhio sul domani e viceversa, “per fare le scelte giuste”.

Su queste scelte, e su cosa fare per affrontare l’inverno demografico, Billari ha un approccio più ampio di tanti discorsi che si sentono di questi tempi (e che troppo spesso restano sulla carta), e lo ribadisce anche al Foglio. “Gli assegni per i figli, gli asili e i servizi per l’infanzia servono, e vanno benissimo. Anche se dovremmo parlare di sostegno alla genitorialità, più che alla natalità: non è una questione che riguarda solo le nascite”. Che nel 2023, peraltro, in Italia sono arrivate al minimo storico: 379 mila (nel 1964 erano tre volte tanto). Ma se pure si riuscisse oggi a invertire in qualche modo il trend, i cambiamenti si vedrebbero in tempi lunghi e poco alla volta. Mentre il problema che pone il rettore bocconiano è più profondo: “Come far crescere il capitale umano, ampliare il bacino di conoscenze che fanno andare avanti un paese. Se nascono più bambini, ma non investiamo sulla loro formazione, tra vent’anni non avremo sfruttato il loro potenziale. La demografia è numeri e persone, ma soprattutto è talenti e futuro”.

Nel suo “Domani è oggi” (Egea), tra grafici della popolazione che mostrano come siamo passati dalle piramidi anni Sessanta (tanti giovani in basso e fasce di età che si assottigliano man mano che si invecchia) alle navi di oggi (pochi giovani sotto e zona tra i 40 e i 60 molto larga, a disegnare una specie di transatlantico) e tabelle su un freno della natalità che riguarda il mondo (il picco di nascite globali lo abbiamo avuto nel 2012 con 144 milioni, a crescere a ritmi elevati resta solo l’Africa), Billari parla soprattutto di tre leve: la scuola, “che non può più essere quella ‘dei pochi e dei migliori’ disegnata un secolo fa”, l’empowerment dei giovani, “che vanno messi in condizione di diventare adulti”, e l’immigrazione, che non è solo faccenda di numeri da gestire, ma di “talenti da attirare”, appunto. 

Nel libro si trovano idee che spaziano dall’allungamento della scuola dell’obbligo alle politiche sull’alloggio universitario, al modo in cui altri paesi in crisi demografica hanno rafforzato il capitale umano (vedi la Corea) o hanno gestito i flussi di immigrati (come la Germania). “Ma il punto è che questi temi dovrebbero diventare prioritari almeno quanto gli altri di cui si parla di continuo. La transizione ecologica, per dire, è importantissima, e quella digitale pure: ma senza capitale umano, non ci arriveremo mai. E’ un prerequisito”.

Ma perché anche la demografia, che è un problema oggettivo, diventa materia di divisioni ideologiche? “Perché tendiamo a fare un po’ come gli allenatori di calcio: ognuno dice la sua, partendo magari dalla sua esperienza personale. Mentre la scienza sociale ha un metodo: si basa sui dati, sulla ricerca, sul confronto con quello che succede altrove. E’ questo che permette di mettere in piedi un ecosistema di politiche stabili, condivise e coerenti nel tempo, che non cambino a ogni passaggio di governo”. Ecosistema, stabile e coerente sono parole da brividi, quando pensiamo alla politica nostrana… “Si, ma è vero fino a un certo punto. In certe condizioni ci riusciamo. Davanti all’emergenza Covid, per dire, ci si è seduti intorno a un tavolo e ci si è messi d’accordo su cosa fare. Dovremmo farlo anche sui temi di lungo periodo”. Senza pensare a ricette magiche. “Quando parlo di bassa natalità, mi chiedono spesso: ‘Qual è la misura migliore per fare ripartire le nascite?’. E io: ‘Non c’è’. Non esiste ‘una’ misura. L’asilo nido per tutti, da solo, non basta. Il contributo economico, da solo, non risolve. Una maggiore eguaglianza della ripartizione dei compiti tra madri e padri, da sola, non fa. Però tutto assieme tende ad avere un effetto”. 

Esempi? “Prenda la Germania. Anni fa hanno fatto il Kindergeld, una misura simile all’assegno unico: le nascite continuavano a calare. Allora hanno cominciato con altre politiche. Hanno allungato l’orario scolastico, provvedimento che ha un doppio vantaggio: aiuti i genitori a conciliare lavoro e famiglia e hai più tempo di istruzione per i ragazzi. E questo maggior tempo diminuisce anche le differenze sociali, perché il problema dello spreco di talenti oggi è legato pure al fatto che chi viene da classi meno privilegiate ha più probabilità di uscire dal sistema scolastico. Non lo dico io, ma le ricerche fatte in tutto il mondo… Ovviamente sono cose che costano; ma nel lungo periodo hanno un impatto”. 
 

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