Il retroscena
I tormenti di Grillo contro il "democristiano" Conte. Medita la guerra legale, non ha più truppe
Il fondatore del M5s boccia in privato l'Assemblea costituente dell'ex premier. E intanto chiede consulenze legali sulla proprietà del simbolo, ma questa volta è solo nella battaglia
E’ tormentato, questo sì. Oscilla come un pendolo. Passa dalla violenta voglia di dare battaglia a Giuseppe Conte alla placida consapevolezza che a 76 anni – e con la testa al processo del figlio Ciro – è tutto molto, troppo complicato. Di più: impossibile. Il suo mondo ormai si è ristretto. Beppe Grillo ha trascorso gli ultimi giorni in Sardegna prima di tornare a Sant’Ilario, Genova. Non sa cosa fare.
Medita la rottura, ma poi si ferma. Si informa tramite i legali di fiducia sulle conseguenze di una possibile guerra per il simbolo attraverso le scatole cinesi delle varie associazioni che si sono succedute. Una sentenza gli darebbe ragione.
Grillo a volte è pentito. Pensa che se non avesse fondato il Movimento, ormai 15 anni fa, adesso sarebbe molto più ricco grazie ai suoi spettacoli e con meno pensieri. Poi scuote la testa e si mette una mano tra i riccioli argentati: sa che il Mago di Oz, come chiama Conte, è pronto all’Opa definitiva sulla sua creatura. La vive come una lesa maestà. E così inizia a contare le truppe e capisce che sì quelli della vecchia guardia – Fico, Raggi, Toninelli – sono nomi di richiamo certo, ma hanno le armi spuntate per via della regola del secondo mandato. Quella che l’ex premier vuole far saltare e lui no.
Grillo è finito nel labirinto delle sua presunta purezza. E non sa come uscirne. Se fosse più giovane sfiderebbe Conte per riprendersi la guida del M5s. Lo dice quando gli si prendono i cinque minuti. Sono attimi, pensieri arruffati.
Allo stesso tempo, scosso da un moto di realismo, sa che è un’idea irrealizzabile. Soprattutto non ha un piano B: questo è il suo problema. Il garante, che vorrebbe dare la linea a una macchina che non gli risponde più, non ha un candidato da presentare contro l’ex premier. I suoi “ragazzi” sono sparsi per mille rivoli. Altri non ci sono più.
Davide Casaleggio è fuori, Gianroberto è morto da otto anni. Luigi Di Maio fa l’inviato per la Ue nel Golfo, Max Bugani è l’assessore più presente della giunta Pd a Bologna, Alessandro Di Battista balla da solo. Sabrina Pignedoli non è stata nemmeno rieletta alle ultime europee. Con il leader del M5s i rapporti sono ai minimi storici. Lo chiama il “democristiano”, ma con un’accezione negativa. Non ha fiducia nell’Assemblea costituente che sarà lanciata tra fine settembre e i primi di ottobre perché, dice Grillo, perché finta e pilotata da Conte e dalla classe dirigente che gli sta intorno.
Altro che partecipazione, pensa. Le divergenze non sono solo personali, ma politiche.
Basti pensare che mentre il capo dei pentastellati scendeva in piazza a Genova per chiedere le dimissioni del governatore Giovanni Toti, il garante a sorpresa difendeva il presidente della regione Liguria in un impeto inedito di garantismo. Grillo è contro il campo largo, non vuole l’abbraccio strutturale con il Pd. Gli piacerebbe una legge elettorale alla tedesca con la possibilità per il M5s di correre da solo e poi, semmai, scegliere il da farsi. Crede che l’avvocato di Volturara Appula non funzioni più, anche se si costruirà un partito su misura. Già, ma cosa fare? E soprattutto, si chiede il vecchio monarca spodestato, cosa ha in mente quello lì? Il telefono del comico diventato politico squilla ancora. Diversi parlamentari della seconda legislatura lo chiamano. Gli ex si appellano lui, quegli ex che se ne andarono quando nacque il governo Draghi, voluto proprio da Grillo dopo una lunga telefonata notturna con l’ex banchiere. L’istrione è finito in un labirinto.