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L'editoriale del direttore

Il Pd e l'opposizione che non sa fare

Claudio Cerasa

Il caso dello ius scholae dimostra che dividere il governo si può. Ma come? Ucraina, giustizia, concorrenza, salari. La strada per dettare un’agenda diversa senza inseguire i populisti. Istruzioni per l’uso

Dividerli si può, dunque, non è impossibile, e per quanto la maggioranza possa sembrare granitica gli spiragli ci sono, le occasioni non mancano. E se solo volesse, l’opposizione potrebbe trovare mille casi, come quello dello ius scholae, per incunearsi tra le contraddizioni del governo e prendere due piccioni con un’unica fava: dettare una propria agenda, mettendo in difficoltà il governo, e farlo avendo in mente non l’interesse di alcuni elettori ma quello del paese. Agosto, si sa, è il mese delle riflessioni, in politica. Le notizie spesso scarseggiano, i politici sono in vacanza, le Camere sono chiuse, il governo sonnecchia e il tempo per capire come muoversi alla ripresa abbonda. Il caso dello ius scholae, con il centrodestra che si è diviso grazie all’apertura sul tema di Forza Italia, potrebbe essere il primo di una lunga serie, se solo l’opposizione avesse la forza e il coraggio di guardarsi un po’ meno allo specchio e di ragionare sui prossimi anni piuttosto che sui prossimi mesi.

 

E per provare a capire di cosa stiamo parlando ci sono un paio di storie che ci potrebbero aiutare. La prima storia riguarda l’Ucraina. Giovedì scorso, a Ferragosto, il responsabile Esteri del Pd, Giuseppe Provenzano, ha rilasciato un’incredibile e rivelatrice intervista alla Stampa. Provenzano ha accusato il governo di essere “ambiguo” sull’Ucraina. Ma piuttosto che incalzare l’esecutivo italiano per chiedere di fare di più nella difesa dell’Ucraina, rimproverando per esempio Meloni per essere l’unico tra i leader dei grandi paesi europei a non aver autorizzato Kyiv a usare le proprie armi per colpire le basi militari del territorio russo, ha rimproverato il governo italiano per non essere sufficientemente chiaro su questo punto, accusando il ministro Crosetto e il ministro Tajani di essere appunto ambigui. Senso del messaggio: ma non è che poi le armi italiane che inviamo a Kyiv verranno utilizzate dagli ucraini per prevenire gli attacchi? Un’opposizione che incalza il governo su temi farlocchi e non su temi concreti è un’opposizione che non solo fa male il suo mestiere ma che alla lunga danneggia anche il paese.

 

Lo stesso discorso si potrebbe fare cambiando terreno e spostandoci per esempio su quello della giustizia. Il governo Meloni, come è noto, sta cercando faticosamente di fare piccoli passi in avanti sul terreno del garantismo. A frenare questi passi, nella maggioranza, ci sono principalmente due partiti, Fratelli d’Italia e la Lega. Di fronte a queste divisioni e a queste contraddizioni, il Pd potrebbe muoversi come una lama nel burro. Potrebbe farlo quando parla di carceri, per esempio, invitando il governo a essere più coraggioso nell’intervenire contro gli abusi della carcerazione preventiva. Potrebbe farlo quando parla di reati vaghi, dai contorni inafferrabili, che rendono la vita difficile anche agli amministratori locali del Pd, che non a caso hanno salutato con gioia la riforma dell’abuso d’ufficio, osteggiata dal Pd e appoggiata dai sindaci del Pd. Ma anche qui, su questo tema, finora ha prevalso la linea dell’ambiguità e dell’autoflagellazione. E il Pd, piuttosto che chiedere al governo di mostrare coraggio sulla giustizia, ha scelto disgraziatamente di assecondare senza vergogna l’agenda del grillismo, rincorrendo le procure, assecondando l’agenda dei pm, trasformando le inchieste contro i propri avversari in occasioni per andare in piazza e chiedere, a nome del tribunale del popolo, di far rotolare giù dal patibolo la testa degli indagati, come è successo con il caso Toti.

Un’opposizione che potrebbe infilarsi nelle contraddizioni di un governo per dettare l’agenda, muoversi da protagonista e far compiere passi in avanti al paese, e non lo fa, è un’opposizione che sceglie pericolosamente di guardare al passato, e non al futuro, ed è un’opposizione che sceglie drammaticamente di occuparsi più dei suoi fantasmi del passato che del domani dell’Italia. Lo stesso discorso, non meno drammatico, potrebbe essere fatto quando si parla di debito pubblico, quando si parla di attenzione ai conti. E qui, se è possibile, il cortocircuito è persino più vistoso. 


Piuttosto che incalzare il governo sulle marchette sparpagliate ovunque, sui favori fatti alle corporazioni, sugli sprechi di denaro pubblico che potrebbero essere evitati, piuttosto che chiedere di essere ancora più rigoroso quando si parla di bonus e di Superbonus ogni volta che ne ha l’occasione rimprovera il governo per le seguenti ragioni: essere stato troppo duro sul Superbonus, essere stato troppo rigido sui conti, essere stato troppo severo con l’ex capo della Ragioneria di stato cacciato anche per la sua superficialità sul Superbonus, essere stato poco disposto a contrattare in Europa per avere un patto di stabilità meno rigorista. L’opposizione avrebbe potuto incalzare il governo, in questi mesi, sul tema del bilancio pubblico, rimproverando all’esecutivo per esempio di non essere riuscito a fare una legge di Stabilità ambiziosa, in grado di creare una crescita superiore a quella garantita dal Pnrr, in grado di far diminuire con continuità il debito pubblico nei prossimi anni. Al contrario, il Pd in questi mesi ha rimproverato il governo sostanzialmente per le ragioni opposte: troppo rigorista, troppo rigido, troppo poco propenso a usare le leve del bilancio pubblico per sostenere l’economia, e quanto era bella, signora mia, la stagione dei bonus edilizi utilizzati senza controllo.

 

Stessa storia, ancora, sul tema della concorrenza. Al Pd capita spesso di tirare per la giacchetta Sergio Mattarella, chiedendogli più o meno indirettamente di sanzionare politicamente il populismo di Meloni. C’è stata un’occasione in cui il capo dello stato lo ha fatto. È successo circa sei mesi fa, a gennaio, quando il presidente della Repubblica, parlando anche di concessioni balneari, ha rimproverato l’esecutivo per essere troppo timido sul tema della concorrenza. Piuttosto che trasformare quella bacchettata esplicita in un’occasione per far emergere gli elementi contraddittori del governo, sul tema della concorrenza, il Pd ha scelto di non trasformare questa battaglia utile per il paese e anche per gli elettori del Pd in una bandiera identitaria e ha scelto invece di ignorare sistematicamente il tema assecondando la politica della difesa dello status quo.

Non si parla di concorrenza, non si parla di taxi, non si parla di balneari, non si parla di efficienza, non si parla di competizione e di conseguenza quando si parla di innovazione si ha la stessa linea del governo – basti pensare al fatto che quando in Parlamento si è votato per vietare la carne sintetica, norma simbolica senza alcun valore pratico, la carne sintetica oggi è vietata in tutta Europa perché non è stata ancora approvata, il Pd piuttosto che denunciare l’oscenità dell’approccio antiscientifico del governo ha votato insieme al governo per assecondare l’agenda Lollobrigida. Si potrebbe fare lo stesso discorso parlando di salari – ed è incredibile che il Pd abbia scelto di non incalzare imprese e sindacati, e governo, sul tema della contrattazione aziendale: per alzare i salari non basta il salario minimo, occorre convincere le imprese a portare avanti accordi decentrati legati all’aumento della produttività. Si potrebbe fare lo stesso discorso sul tema dell’immigrazione – ed è incredibile che il Pd piuttosto che invitare il governo a essere ancora più coraggioso sul tema del decreto Flussi, sul tema della redistribuzione dei migranti in Europa, sul tema della maggior presenza dell’Italia nel nord Africa via Europa e via Piano Mattei continui a puntare tutto solo ed esclusivamente sulla linea Saviano, considerando la non lotta contro l’immigrazione irregolare come il principale tratto identitario delle proprie politiche migratorie.

 

Si potrebbe infine aggiungere che se l’opposizione volesse incalzare il governo sul tema della politica industriale, sulle sue carenze, sul suo essere timido, inconcludente, contraddittorio potrebbe puntare tutte le sue fiches sull’implementazione dell’industria 5.0, potrebbe puntare tutte le sue fiches sull’incapacità del governo di mettere in pratica politiche finalizzate all’attrazione di capitali, potrebbe puntare tutte le sue fiches sui danni generati dall’approccio ultra statalista portato avanti su alcune partite dal ministro Adolfo Urso detto “Urss”. E a questo volendo si potrebbe aggiungere qualcosa di più che metterebbe in crisi la Lega, per esempio, provando a dividere il governo sul tema del nord, investendo forte sull’incapacità di questo esecutivo di muoversi a favore del ceto produttivo, a favore del mondo del commercio, a favore del tessuto industriale che al nord vorrebbe tutto tranne che un governo costruito per assecondare l’agenda Trump. Dividere il governo si può. Ma per farlo il Pd dovrebbe fare un passo in avanti, pensando un po’ meno agli interessi degli elettori grillini e pensando un po’ più agli interessi dell’Italia. Dopo l’estate, converrà pensarci su. Dividerli si può. Dettare una nuova agenda, utile per il paese, anche. Che aspettate?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.