L'editoriale dell'elefantino

Meglio andarci piano con la storia della complottomania di Meloni

Giuliano Ferrara

Nel paese del fenomeno Berlusconi e di Di Pietro, per non parlare dei filamenti Toti e Decaro, qualche motivo di preoccupazione per ciò che sta succedendo alla premier è forse lecito, no? O è solo la fissazione paranoica di un presidente che non ci vuole stare e per questo viene bollato come una casalinga disperata?

Anche Giovanni Toti, presidente eletto della regione Liguria, di centrodestra, non sapeva che sarebbe finito ai domiciliari per chiacchiere intercettate con imprenditori del porto di Genova, addirittura su una barca e magari con un brindisi, e non sapeva che i finanziamenti legali e tracciati e registrati al suo movimento e alle liste amiche erano monitorati da quattro anni e potevano divenire il confortante contesto mediatico-giudiziario di sconfortanti e indimostrate accuse di corruzione contro di lui, retata compresa, sebbene potesse sospettarlo come metodo universale in voga nei rapporti tra magistratura e politica da molti anni. E non credeva che per riavere la libertà avrebbe dovuto dimettersi dalla carica elettiva e lasciare il passo a nuove elezioni e forse a nuove coalizioni vincenti profilate all’orizzonte dalla “vocazione alla legalità” dei suoi avversari di centrosinistra.
 

Così come il sindaco di sinistra di Bari, Antonio Decaro, al quale in fatto di voti alle europee un generale temerario fa semplicemente un baffo, non sapeva bene che pensare di un’offensiva di dicerie e accuse che poteva portare, ciò che non è stato, allo scioglimento del comune da lui amministrato e al disdoro per un’intera classe dirigente, mentre il suo successore designato si è imposto alle elezioni contro la coalizione avversaria senza discussioni proprio. Il centrosinistra ha oscenamente manifestato, nel frattempo, contro Toti, e il centrodestra ha tramato in piazza e nel palazzo contro Decaro.
 

In questo quadro fresco, recente, pulsante, fazioso e velenoso di manovre giudiziarie e amministrative douteuses intrecciate a pettegolezzi e altre manie pulite, ecco che Meloni sorella viene non si sa bene a che titolo tirata in ballo nell’orgetta gossipara per il presunto reato ultraorwelliano di “traffico di influenze”; così Meloni presidente del Consiglio scelta dagli elettori si fa venire qualche dubbio, si risente per le attenzioni maligne sulla sua “famiglia politica”, come dicono i francesi per designare le aree parlamentari e come fanno gli italiani con i parenti anche stretti per governare partiti e coalizioni, allude a trame varie. Scandalo. Sotto accusa va il vittimismo di Meloni, la sconsiderata complottomania. Mah. In realtà si sente un certo odore di zolfo ed è un po’ surreale, in un paese così com’è messo il nostro, che venga attaccata come puzza sotto il naso vittimista la reazione politica di un ceto sempre a disposizione di procuratori e pistaroli dei media. Sopra tutto se prende i voti e cerca di fare il duro mestiere della politica senza infamia e senza lode, normalmente, con qualche smacco grottesco e qualche discreto risultato, in un quadro – orrore! – di relativa stabilità (a Bari come a Genova come a Roma).
 

Andrea Minuz, decrittatore di piccole mitoideologie al livello di un buon allievo di Roland Barthes, ha osservato qui che dopo le risate e le smorfie della grande Kamala, giustamente nuovo idolo della sinistra antitrumpiana, andavano forse riconsiderate le sparate polemiche a grappolo contro occhieggiamenti, faccine e sorrisetti del presidente donna, oggetto di antipatia a sfondo forse misogino e misoromanesco nella folta schiera avversaria. Anche su questa storia della complottomania bisognerebbe andarci piano. Siamo un paese dove il Cretino Collettivo, che è poi un insieme di cretini individuali potenziato, evoca complotti dalla mattina alla sera, e ci sono campagne antivaccinali che vivono e prosperano ormai da quattro, cinque anni, su diffidenze e pregiudizi ridicolmente infondati. Come disse uno spiritoso twittarolo, non si capisce, prima un complotto per farci morire di Covid producendolo in laboratorio, e poi un complotto per venderci i vaccini di un altro laboratorio che hanno stroncato l’ondata maligna della pandemia. Come sono strani i complotti. Però nel rapporto tra politica e magistratura, forse, qualche motivo di preoccupazione, nel paese del fenomeno Berlusconi e del fenomeno Di Pietro e compagnia, per non parlare dei filamenti Toti e Decaro, bè, sarebbe lecito. O no? O è solo la fissazione paranoica di un presidente che non ci vuole stare e per questo viene bollato come una casalinga disperata?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.