L'editoriale del direttore

Burocrazie, diplomazie e altri nemici non immaginari di Meloni

Claudio Cerasa

Il complotto giudiziario è una cosa seria, l’Italia ne sa qualcosa, ed è meglio riservarlo per quando in ballo c’è la ciccia. Nemici veri e nemici presunti. Guida agostana ai nuovi avversari della premier, Salvini a parte

Il complotto giudiziario è una cosa seria, non una pagliacciata estiva, ed evocarlo senza prove, senza evidenze, senza concretezza, senza una pistola fumante rischia di trasformare un tema reale e drammatico in una favola di Esopo, con i protagonisti che indicando la presenza del lupo quando il lupo non c’è alla fine rischiano di non essere creduti qualora il lupo dovesse presentarsi davvero. Attenzione. A proposito della presunta bomba giudiziaria che potrebbe colpire Arianna Meloni (molte chiacchiere per ora e zero sostanza, per fortuna) va detto che chi ironizza sulla possibilità che un governo possa essere attaccato, lo fa in modo letale. Chi ironizza sulla possibilità che un governo possa essere attaccato, in modo letale, da un qualche marchingegno discrezionale messo in moto, in modo arbitrario, da un qualche pubblico ministero di una qualche procura di una qualche provincia italiana dimostra di non conoscere la storia giudiziaria italiana, all’interno della quale la presenza del lupo è stata reale, concreta, il contrario della favola di Esopo. Nel sistema giudiziario, il lupo, la presenza cioè di un’inchiesta malandrina il cui obiettivo principale non è perseguire un reato concreto ma è individuare una tipologia di reato abbastanza vaga, indefinita, inafferrabile, da poter utilizzare per mettere sotto torchio un obiettivo politico o qualcuno a lui vicino, di solito si muove così: individua un obiettivo da colpire, costruisce attorno a quell’obiettivo una demonizzazione, usa gli strumenti del circo mediatico per instillare sospetti, offre ai giornalisti stralci giudiziari utili per trasformare l’obiettivo da attenzionare in un bersaglio da abbattere, confonde con abilità il codice morale con il codice penale e infine individua qualcuno da attenzionare vicino al potente da abbattere per suggerire al potente di turno di non sfidare la Repubblica delle procure.

 

Non sarebbe la prima volta, per un governo desideroso di ridimensionare i pieni poteri del circo mediatico-giudiziario, ricevere attenzioni simili da parte di qualche scheggia impazzita del mondo della magistratura. E’ successo con Bettino Craxi, è successo con Silvio Berlusconi, è successo con Romano Prodi e Clemente Mastella, è successo con Matteo Renzi, potrebbe succedere anche con Giorgia Meloni, che può piacere o no, può essere amata o meno, ma non si può negare che non stia tentando di rimettere il potere legislativo su un piedistallo non inferiore rispetto a quello occupato dal potere giudiziario. Il complotto giudiziario è una cosa seria, esiste, minaccia da anni il buon funzionamento della nostra democrazia ma proprio perché esiste andrebbe denunciato quando è evidente, quando è concreto, quando è reale, non quando esiste solo nell’immaginazione dei protagonisti della politica. Non è la prima volta che questo governo evoca la presenza di un attivismo sospetto del mondo della magistratura nei suoi confronti, e il fatto per esempio che l’Anm abbia invitato a combattere politicamente il governo per via della sua riforma istituzionale somiglia molto a una chiamata alle armi del partito dei pm, ma allo stesso tempo non è la prima volta che il governo ha utilizzato un argomento reale con la modalità Esopo: al lupo, al lupo.  

 

Meloni & Co., prima dei pettegolezzi tutti da verificare su Arianna Meloni, pettegolezzi che per il momento rientrano più nella sfera del vittimismo d’accatto che del complottismo d’attacco, hanno già evocato il complotto dei pm sul caso Santanchè, per via di un’indagine a carico della ministra che potrebbe presto trasformarsi in un rinvio a giudizio, ma la premier, in questo caso, più che evocare trame oscure potrebbe semplicemente chiedere al suo ministro perché, dopo mesi di indagini, non ha ancora offerto risposte soddisfacenti sul mancato pagamento della liquidazione ad alcuni dipendenti, sulla circostanza che una dipendente sarebbe stata messa in cassa integrazione a zero ore a sua insaputa e sulla presenza di alcuni passaggi societari della sua Visibilia poco trasparenti e documentati non da un’inchiesta giudiziaria ma da un’inchiesta giornalistica. Meloni & Co. hanno poi evocato il complotto, mesi fa, anche sul caso di Andrea Delmastro, l’imbarazzante sottosegretario alla Giustizia del governo, sul caso Cospito, ma anche in quella occasione il problema principale della vicenda non era legato alla presenza di un gip che ha sostenuto l’opposto rispetto a quanto chiesto da un procuratore, e che ha chiesto l’imputazione coatta dello stesso Delmastro in riferimento a un’indagine per rivelazione di segreto d’ufficio legata al caso Cospito nonostante il parere contrario del pm, ma era legata all’autocomplotto organizzato dallo stesso Delmastro contro se stesso, che avrebbe potuto sospettare forse che rivelare a un parlamentare amico, e suo coinquilino, Giovanni Donzelli, segreti amministrativi conclamati solo al fine di poter utilizzare quelle notizie segrete per colpire in Parlamento esponenti dell’opposizione poteva essere un’idea pericolosa. Il complotto è stato evocato anche in un’altra occasione, anche quando il figlio del presidente del Senato è finito sotto indagine per violenza sessuale, ma anche qui la postura del governo è apparsa ridicola e non ci sono tracce che dimostrano come anche questa indagine sia nata per un eccesso di zelo nei confronti di una figura chiave del mondo meloniano. Un discorso diverso, ovviamente, si può fare per il caso Crosetto, che ha giustamente denunciato in procura i traffici più che sospetti che alcuni soggetti interni all’Antimafia avrebbero fatto all’interno di alcuni database giudiziari, consultati per pescare informazioni penalmente irrilevanti ma utili per provare a colpire alcuni soggetti politici, ma anche qui vale sempre la regola da cui siamo partiti: per denunciare il lupo, il lupo deve essere presente, reale, se lo denunci anche quando non c’è finirà che il lupo non lo riconoscerai quando arriverà. I timori mostrati da un pezzo del centrodestra per la presenza nel paese di un’opposizione giudiziaria desiderosa di muovere le sue pedine sul tavolo da gioco dello scontro politico con la premier ci portano però ad affrontare anche un tema ulteriore che riguarda un fatto che merita di essere messo a fuoco: ma quanti sono, esattamente, i nemici di Meloni? 

 

L’opposizione giudiziaria esiste, lo sappiamo, e sul caso Toti abbiamo visto a cosa può arrivare una magistratura che sceglie di mettere nel proprio mirino un politico senza avere pistole fumanti, ma accanto a questa esistono altre opposizioni, esterne alla politica, che da mesi hanno trasformato il governo Meloni in un obiettivo da colpire. Non parleremo degli alleati di Meloni, della Lega e di Forza Italia, che da mesi sembrano aver trasformato l’opposizione interna alla premier in un tratto identitario dei propri partiti, ma parleremo di tutto il resto, delle cinquanta sfumature di antimelonismo. Una prima categoria importante, di fronte alla quale Meloni deve guardarsi le spalle, è quella che riguarda il mondo europeo e la difficoltà con cui Meloni in questi mesi è riuscita a costruire alleanze con i partner europei potrebbe pesare molto sul percorso della premier: più sarà ampia la distanza con la stanza dei bottoni europea (e a provare a tenere distante Meloni da quella stanza saranno sempre di più leader in grado di allearsi tra loro, anche per far fronte contro l’Italia, come il premier spagnolo, il presidente francese, il cancelliere tedesco) e più ottenere risultati in Europa potrebbe diventare complicato, e chissà se il patto sottobanco con Ursula von der Leyen è così solido come Meloni sostiene (molto dipenderà dalla capacità della premier di ottenere un commissario europeo dal valore non inferiore rispetto a quello che ha oggi l’Italia). Un secondo mondo importante che si muove da mesi per arginare il potere meloniano è quello della burocrazia italiana, a partire da alcuni magistrati della Corte dei conti considerati anche dagli uffici di Bankitalia troppo severi nei confronti del governo sul Pnrr, e chissà se l’arrivo di Daria Perrotta alla Ragioneria dello stato aiuterà a creare una nuova chimica o contribuirà ad aggravare i problemi. Un terzo fronte potenzialmente pericoloso per Meloni è quello che si muove all’interno del mondo della diplomazia, nel giro della Farnesina, e il vasto mondo degli ambasciatori non ha ancora digerito il fatto che Meloni in più occasioni abbia mostrato scarsa propensione a fidarsi delle tradizionali strutture diplomatiche, arrivando al punto di affidare la guida del G7, a livello di sherpa, al capo dei servizi, Elisabetta Belloni, e non a un diplomatico non occupato in altre mansioni, e arrivando al punto di rompere una tradizione consolidata, ovverosia affidare la presidenza di Fincantieri a un diplomatico e non, come invece è successo, all’ex capo della Ragioneria dello stato, piazzato a Fincantieri non per ragioni legate alla sua competenza ma per ragioni di semplice realpolitik. Tra i nemici di Meloni, infine, ce ne sono alcuni di particolarmente insidiosi che riguardano le categorie un tempo meloniane e oggi deluse dal melonismo, come i balneari, i tassisti, i costruttori, i benzinai, i sindacati di polizia. Al gran ballo dell’antimelonismo, i protagonisti dello spettacolo cominciano a essere molti, anche se questo non sembra ancora avere un impatto sui sondaggi, e non tutti i nemici che Meloni si è creata in questi mesi di governo testimoniano il fatto che l’esecutivo si sia mosso verso una direzione pericolosa, fatta di estremismo, populismo e demagogia. Tra i protagonisti più temibili del gran ballo dell’antimelonismo esiste anche quella che Crosetto ha definito l’opposizione giudiziaria, opposizione ben rappresentata dall’Anm, ma evocare le minacce quando sono astratte, vaghe, ambigue, non chiare, come è il caso del vittimismo preventivo attorno ad Arianna Meloni, non significa voler smascherare un complotto ma significa solo volerla buttare in vacca, e gridare al lupo anche quando il lupo ancora non c’è. Anche no, grazie. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.