Luigi Brugnaro - foto Ansa

Realpolitik

Destra nei guai per il dopo Brugnaro a Venezia. "Senza Zaia si va a perdere"

Francesco Gottardi

Finora in città il centrodestra non ha scaricato il sindaco finito sotto inchiesta per un semplice motivo: nessuno è pronto ad andare alle urne domani. Né fra un mese. Serve tempo. La Lega vuole la regione, più che il capoluogo. Fratelli d'Italia propone un nome che non scalda gli animi, mentre Forza Italia fatica

Venezia. Più che fiducia, è opportunismo. Realpolitik. Finora a Venezia il centrodestra non ha scaricato Luigi Brugnaro per un semplice motivo: nessuno è pronto ad andare alle urne domani. Né fra un mese. Serve tempo. Agli elettori per digerire – la maxi-inchiesta che ha travolto la giunta del sindaco fucsia, sempre al centro della cronaca –, alla coalizione uscente per riorganizzarsi. E convincere l’uomo giusto. La garanzia: Luca Zaia, da suggestione a candidatura vera. Immacolata, vincente. Per il Veneto si dovrebbe votare nell’autunno 2025, per Venezia nella primavera 2026. Incastro perfetto. Altrimenti ci si gioca il Canal Grande, è il ragionamento che in questi giorni si fa largo fra i palazzi. Peccato d’immagine.
 


Serve tempo, appunto, perché sul Doge ciascun partito ha le sue riserve da superare. La Lega sa bene che ottenendo la città perderà la regione – più di così, in rotta numerica e in rovina ideologica, proprio non può pretendere. E Zaia ormai poco rappresenta la ‘Salvini premier’. Fratelli d’Italia in realtà un nome l’avrebbe in canna da un pezzo: Raffaele Speranzon, fedelissimo senatore meloniano da sempre intrigato dalla fascia tricolore. Ci aveva già provato nel 2005, con scarsi risultati (6,5 per cento). Oggi è tutt’altra stagione politica, certo. Ma Venezia non è mai stata una roccaforte di destra. Speranzon continua a scaldare poco gli animi lagunari. E la bufera su Brugnaro varrà una partenza con l’handicap. Così la prospettiva diventa concedere il Veneto agli alleati – sempre per principio di spartizione – rischiando di non aggiudicarsi il capoluogo: mica un affare. Nel mezzo c’è poi Forza Italia. Che a Venezia ha sempre faticato – chiedere a Brunetta – ma di cui il brugnarismo è una costola civica. Anche qui, altra stagione. Con gli arrembanti vertici locali pronti al salto di qualità: Flavio Tosi sogna da governatore, se così non sarà ci vuole una contropartita di lusso. Stile Piazza San Marco. Qui i forzisti proporrebbero Gianluca Forcolin: nuovo coordinatore provinciale, storico dirigente del nordest e già vicepresidente di Zaia. Da quell’incarico si dimise però dopo che il suo ufficio aveva chiesto un bonus fiscale in tempi di pandemia. Vista l’aria che tira, auguri a sfoggiare scheletri nell’armadio.
 

Chi si sfrega le mani, in tutto questo, è il Pd. Quiescente per un decennio, ora di nuovo in prima linea per riprendersi la città. “Venezia è contendibile”, suonano la carica i militanti. Non è un caso che Andrea Martella, segretario regionale e senatore, abbia subito cavalcato l’onda dell’indignazione giudiziaria: “Zaia tace su Brugnaro e sul capoluogo allo sfacelo”, dichiarava a Repubblica, adunando il centrosinistra in piazza. Potrebbe essere lui a scendere in campo. Metteteci contro chiunque, sfidano i dem. Tranne Zaia. Allora si tornerebbe alla candidatura a perdere, specialità della casa: nel 2020 – quando Brugnaro aveva l’aura dell’imbattibile – toccò a Pier Paolo Baretta, quasi doppiato al primo turno dal sindaco uscente per poi ritrovarsi con un assessorato al Bilancio nella giunta Manfredi a Napoli. Che a schiantarsi aggratis non ci sta nessuno, nemmeno dentro il Pd, figurarsi contro il Doge (in cambio? Minimo un ministero).
 

C’è poi un altro problema, forse sottovalutato da tutte le parti in causa: nessuno di questi profili pianta le radici a Venezia. Martella è di Portogruaro. Forcolin di San Donà. Zaia viene da Conegliano, provincia di Treviso. Soltanto Speranzon è mestrino, ma di stanza a Roma. E Brugnaro resta l’unico, nella storia del comune, capace di imporsi dalla terraferma (da civico, notare bene). Ancora una volta è un’altra stagione, il decennio fucsia ha spalancato una chiara ricetta elettorale: punta a Mestre (180 mila abitanti) e ti prenderai la laguna intera (80 mila). A patto di esprimere il territorio. Per questo, sia a destra sia a sinistra, rimane sul tavolo anche l’opzione del civismo locale – chi di preciso è presto per dirlo. A meno che non entri in gioco il campione, veneziano acquisito dopo una vita a Palazzo Balbi: con Zaia partita chiusa. Basta un sì. Il suo.

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