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La guerra dei Beppi

Grillo lo chiama Mago di Oz, ma Conte è una costante italiana

Salvatore Merlo

Il trasformismo storicamente ha evitato le spinte eversive. Il leader del Movimento 5 stelle, in fondo, ha vinto 

Beppe Grillo lo chiama “mago di Oz”, re degli imbonitori, equilibrista e campione della capriola. Lo rimprovera d’incoerenza, forse persino di trasformismo. Mentre lui, Giuseppe Conte, che vuole inaugurare un nuovo Movimento e una costituente, risponde che “già altre volte il simbolo del M5s è cambiato così come la regola dei due mandati”. E raccontano che l’ex presidente del Consiglio non sia stupito né scandalizzato dall’incursione di Grillo, perché lo conosce (“Beppe ha capito che Conte ora si prende il M5s per sempre”) e già l’aveva affrontato, il vecchio comico,  settimane fa in privato, a Roma, sulla terrazza dell’Hotel Forum: le bizze, gli umori, i furori e le battute contundenti (“Conte è perfetto per la politica, quando parla non si capisce niente”). Ma che Grillo lo rimproveri di essere un mago di Oz, uno Zelig, insomma un trasformista, ecco questo a Conte non va giù: ma da che pulpito? “Dal pulpito di chi ci ha portato a sostenere la maggioranza del governo Draghi?”. E sente d’avere ragione, Conte, quando parla con gli amici. Perché se è vero che  è stato un trasformista, passato dal governo con la Lega a quello con il Pd, allora lo è stato in società con Grillo. E quel trasformismo ha avuto il merito di spegnere la carica eversiva del grillismo, consegnandolo al sistema.


Scriveva Rosario Romeo in un articolo sui costi del trasformismo per il Giornale di Indro Montanelli nel 1976: “Al trasformismo si deve, dopo tutto, se al metodo della guerra civile si è sostituito per oltre un secolo il metodo del graduale assorbimento delle spinte eversive che il processo di modernizzazione continuamente riproduce alle basi della società europea: e non è un piccolo risultato”. E cos’è stato, d’altra parte, il trasformismo di Conte se non quello del manzoniano conte (nomen omen) duca don Gasparo  Guzman, che faceva “perdere la traccia a chi che sia, e quando accenna a destra si può essere sicuro che batterà a sinistra”. Mago di Oz, come dice Grillo? Imbonitore ginnasticato? Felpato simulatore di qualsiasi opinione senza carattere? Conte oggi può ben confessare ai propri collaboratori, agli ex allievi dell’università, che quel suo saltellare come una quaglia, pratica politica non certo eroica né esaltante, tuttavia non solo ha consentito al M5s di sopravvivere e in taluni casi persino di prosperare, ma possiede anche una sua dignità se non altro perché pratica antica della storia politica italiana: quella che ha consentito, ai tempi di Depretis come in quelli di Giolitti, di tenere il paese unito assorbendo le spinte eversive. Dire di un grillino com’è, è sempre stato molto difficile, ieri come oggi: è, in genere, un uomo o una donna senza passato, nel senso che non si sente mai legato a ciò che ha detto o fatto ieri. E quel che particolarmente lo distingue è che della sua eventuale incoerenza egli non mostra di preoccuparsi per nulla.

 

Con i grillini è possibile tutto: persino che domattina si dichiarino a favore dell’invio di armi in Ucraina. E se un giovane grillino scrive a una sua ragazza per lasciarla, non le dice: “Basta. Lasciamoci. Ti ho dimenticata”, ma le dice: “Basta. Lasciamoci. Ti avevo dimenticata”, tanto gli pare che il tempo presente copra quello passato e lo assolva. Basta infatti scorrere le biografie dei grillini presenti e passati, la loro evoluzione: i terzomondisti che oggi fanno lobby per il grande capitale internazionale, quelli che un tempo  volevano aprire ogni cosa come una scatoletta di tonno e oggi grazie alle loro amicizie sono entrati nei cda e nelle partecipate pubbliche. Ma allora come può, Grillo, imputare a Conte di essere “mago di Oz”, imbonitore e trasformista, come può accusarlo di voler modificare la natura del Movimento, quando egli appare invece, appunto, il distillato più autentico e l’interprete più vero di ciò che il M5s ha rappresentato e rappresenta? Dunque Conte ha ragione: “Andiamo avanti”. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.