Il caso

La rivincita di Ursula sottovalutata dalla politica italiana: da Draghi a Tajani fino a Meloni e Salvini

Simone Canettieri

La delusione per le uscite dell'ex banchiere centrale, lo stupore per l'atteggiamento di Forza Italia fino all'affrancamento della premier spinta dal capo leghista. Eppure la presidente della commissione è riuscita a sovvertire i pronostici e le mosse di Roma

Chissà cosa penserà da  Bruxelles – nelle sue stanze così asettiche e minimal al tredicesimo piano di Palazzo Berlaymont – della politica italiana. In questi giorni Ursula von der Leyen è alle prese con il dossier Italia. L’ultimo grande paese che ancora non le ha indicato il nome del commissario. Come raccontato anche da questo giornale Giorgia Meloni tratta con lei – in maniera serrata – per portare in dote a Raffaele  Fitto più deleghe pesanti possibili. Compresa la vicepresidenza esecutiva. E però se si mettono in fila tutti i protagonisti della scena nostrana si capisce come negli ultimi mesi abbiano  commesso  errori di calcolo nei confronti della scorza teutonica dell’ex ministra della Difesa. Il primo forse è stato Mario Draghi che lo scorso aprile, in occasione della Conferenza europea sui diritti sociali, anticipò lo spirito del Rapporto sulla competitività che la presidente della Commissione Ue gli aveva richiesto. Un’uscita, quella dell’ex banchiere centrale, letta da molti osservatori come un modo per stare al centro della scena a due mesi dal voto come formidabile piano B in caso di stallo. E cioè del fallimento dell’operazione Ursula bis. 


Ricordano da Bruxelles che von der Leyen non prese benissimo l’uscita così dettagliata del discretissimo Draghi alla vigilia delle urne e in pieno toto presidenza. Sta di fatto che il report atteso per giugno, è stato poi rinviato a luglio e forse dovrebbe arrivare a settembre. Ancora più curioso è stato l’approccio avuto da Antonio Tajani con la candidata del Partito popolare. Il 13 maggio la presidente della Commissione già ricandidata fece tappa a Roma. Ma venne quasi nascosta dai vertici di Forza Italia che proprio in quel giorno aprivano la campagna elettorale. Non esistono foto pubbliche di quella visita, ma solo un pranzo riservato al Circolo degli esteri della Farnesina. La presidente non partecipò all’evento di FI all’Eur e Licia Ronzulli, vicepresidente azzurra del Senato, arrivò a definirla pubblicamente come “un cavallo azzoppato”. Dentro Forza Italia si pensava a un candidato alternativo che sarebbe potuto uscire in caso di lavorio dei franchi tiratori all’Eurocamera. Girava, tra gli altri, anche il nome di Tajani, nonostante le smentite del diretto interessato. Ursula donna fugata a Roma, per giunta dal partito appartenente alla sua famiglia politica. Poi c’è il rapporto con Giorgia Meloni: forte, personale e per un periodo costante, a favore di telecamere, su e giù per l’Italia, da Lampedusa a Bologna, passando per Forlì. Von der Leyen cercava una sponda politica, la premier sembrava più che intenzionata a offrirgliela pur di dimostrare di poter incidere su una Commissione partita, a suo dire, con un approccio sbagliato e ideologico. Poi però nell’ultimo mese della campagna elettorale, Meloni da leader dei Conservatori ha fatto non uno, ma due passi indietro. Soprattutto rispetto alle domande sul bis di Ursula. E alla fine è stata coerente. La premier, forse intimorita dall’avere nemici a destra e cioè l’orbaniano-lepenista Salvini, alla fine ha rivendicato sia l’astensione in Consiglio europeo sulla nomina di von der Leyen sia soprattutto il voto contrario all’Europarlamento. E’ stato uno snodo non banale.  Ora von der Leyen riavvolge il film italiano di questi mesi, mette in fila i protagonisti, e si prepara all’ultima trattativa da una posizione di forza. Da “grande sottovalutata” a “rieccola”, il passo è stato breve.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.