Antonio Tajani (foto LaPresse)

L'estate di 'Ntoni

L'attivismo sudato di Tajani per distinguersi dagli alleati e scacciare i fantasmi interni

Salvatore Merlo

L'estate del vicepremier. Trentaquattro interviste, essere ovunque e una parola su tutto. Pure Matteo Renzi ha capito che è qualcuno

“Non impongo nulla”, dice a Meloni e Salvini. “Ma non voglio nemmeno imposizioni”, aggiunge. Applauditissimo al Meeting di Rimini, Antonio Tajani, vicepremier, leader di Forza Italia, ministro degli Esteri e protagonista di un’estate politica che per lui non ha visto vacanze, finge malavoglia nel parlare di cittadinanza agli immigrati (“poi qualcuno si arrabbia”) ma in realtà ’Ntoni Tajani ha tutta la voglia del mondo di parlare. Altroché. E’ da tre mesi impegnato a distinguersi dagli alleati, a cercare la nota fuori spartito. Perché è distinguendosi – pensa – che Forza Italia (e lui stesso) può sopravvivere tra la Lega e Fratelli d’Italia. E allora trentaquattro interviste ai giornali tra luglio e agosto, 153 lanci di agenzia: i diritti e la cittadinanza, lo ius scholae e l’autonomia differenziata che lo differenzia dalla Lega ma al tempo stesso conferma il suo ruolo di guida nel partito. Un’impressionante frenesia di viaggiatore. Dalle Alpi a Lilibeo. Sudore, polvere, pranzi e baci sulle guance (“vi assicuro che anche Pier Silvio mi sostiene”). Domenica pure a Verona, per il raduno degli scout Agesci. Prima la santa messa con il cardinal Zuppi e poi il saluto ai ventimila ragazzi (“ma votano?” “certo che votano”). Tajani non giunge mai da un rettilineo, ché lo vedrebbero da lontano, ma sbuca da una curva, appare da dietro un albero: cucù. Teme Salvini, teme Meloni, ma teme pure le ombre che s’agitano in Forza Italia. E allora? E allora bisogna darsi da fare.

Mette il  broncio e si fa domande  – “non ho mai partecipato a un complotto ma li ho sempre schivati” – quando riconosce poco affetto tra le righe del Giornale, che fu anche il suo giornale ai tempi di Montanelli e che sempre ha un legame con la famiglia Berlusconi. Vittorio Feltri lo insolentisce, lo definisce  “anonimo”, “un pirla qualsiasi”, poi lo accusa d’inciucio con la sinistra per il voto a Von der Leyen. E allora Tajani si chiede se a parlare sia Feltri (“senile confusione”), Meloni, Salvini o chissà – ecco i fantasmi – qualcuno dentro Forza Italia. Mi vogliono fare le scarpe nel partito? Chi può dirlo? Anche Pier Silvio, a luglio, s’era abbandonato a una strana, palindroma frase: “I moderati sono maggioranza ma manca un riferimento”. Tajani non lo è? E dunque circondato all’esterno, insidiato forse all’interno, eppure uscito vincente dalle elezioni europee, ecco che ’Ntoni Tajani,  padròn sospeso, sfida l’inerzia e si dà da fare. Parla, dichiara, punzecchia, viaggia, incontra… Famosa la vignetta diffusa da Antonio Martusciello, che gli è amico. C’è una professoressa che scrive sulla lavagna: “Qual è la differenza fra Tajani e Gesù?”. Un ragazzo alza la mano e risponde: “Che Gesù è in ogni posto, ma Tajani c’è già stato”. Appunto. Sudato, appesantito, eppure mai stanco. Per tutta l’estate. Meloni e Salvini s’incontrano in Puglia, in masseria, senza di lui? E lui allora rilascia il giorno dopo un’intervista al Corriere sulla cittadinanza agli africani: bum! Salvini fa l’attendente di Vannacci? E lui s’inventa Forza Nord, il distaccamento settentrionalista di Forza Italia affidato a Flavio Tosi. “Tajani non voterà mai la cittadinanza. Cadrebbe il governo”, dice Renzi. “Se aspettiamo sor tentenna Tajani stiamo freschi”, lo irride. Ma quando Renzi prende qualcuno di mira significa che è qualcuno, ha qualcosa di temibile: è il concorrente al centro. Doveva affondare con la barca di Forza Italia, ’Ntoni Tajani, ma la Provvidenza è rimasta a galla con lui e con tutti i lupini che furono di Arcore. Però bisogna sempre remare, anche a mani nude se necessario, darsi da fare. Oggi con la cittadinanza, domani con la Finanziaria, e poi ancora e ancora. Pure d’estate. Malgrado il caldo, malgrado tutto. Vota Antonio! Anzi, ’Ntoni.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.