Esclusivo

Arianna Meloni: "Io e Lollo ci siamo lasciati. Non mi sento Berlusconi, ma sono avvilita da come mi raccontano"

Simone Canettieri

La sorella della premier e numero due di Fratelli d'Italia al Foglio: "Con Lollobrigida resta l'affetto, il nostro progetto politico va avanti, ma l'amore è un'altra cosa". Il caso dei presunti complotti giudiziari, le accuse di familismo, le nomine, il suo futuro. Intervista a tutto campo 

Arianna Meloni non si sente Jennifer Lopez né Chiara Ferragni (“io sono timidissima e non vado in tv, dico sul serio e non è per darmi un tono”). E Francesco Lollobrigida non è Ben Affleck e figurarsi Fedez, anche se non gli manca una certa presenza scenica quando solca il Transatlantico (da ragazzo, biondo e impossibile, lo chiamavano “Beautiful”). Però nelle coppie che si separano di questi tempi bisogna inserire anche loro: uno dei più autorevoli dirigenti di Fratelli d’Italia, nonché sorella maggiore della premier Giorgia, e il ministro dell’Agricoltura nonché capodelegazione della Fiamma magica al governo.

Tutto si mischia e si confonde. Ed ecco dunque una notizia tra cronaca rosa e politica: Lollo e Ari – primo bacio nel 1995 alle feste organizzate dalla sezione di Colle Oppio, raccontano gli annales  – sono già da un bel po’ di tempo separati in casa. Poi chissà. La raggiungiamo al telefono chiedendole conferma: “Sì è vero, non stiamo più insieme da un po’. Per Lollo mi butterei nel Tevere, come si dice a Roma. Ci vogliamo bene, so quanto vale, conosco di che pasta politica sia fatto: uno in grado di lavorare 500 ore al giorno. E’ una persona solida, onesta e con una grande preparazione. Il nostro progetto politico va avanti, i nostri rapporti personali sono ancora solidi, poi l’amore è un’altra cosa. L’affetto e la stima rimangono intatti. Per ora è così. E visto che sono affari nostri e ci sono tante persone che amiamo in mezzo, la finirei qui con la curiosità morbosa. Grazie”.

Il colloquio del Foglio con Arianna Meloni ricercato e rincorso con pazienza e insistenza, afferrato e poi sfuggito e alla fine acchiappato, potrebbe terminare qui. Per lasciare spazio a riflessioni extrapolitiche  – ma tutto alla fine è politico, no?  – su quanto le sorelle Meloni stiano pagando in termini di scelte di vita (che hanno rilevanza pubblica) questa esperienza che le vede protagoniste dopo una storia lunga e complicata di dieci anni all’opposizione.  


Ora le sister sono ascese a posizioni di alto rango. Regina del paese, Giorgia, e duchessa del primo partito italiano, Arianna. A discapito di tutto, come si evince. Forse è la storia di chi ha voluto la bicicletta.
E comunque il rapporto fra le due resta intrigante, poco raccontato in quanto protetto a tripla mandata, e dunque anomalo e delicato. Affonda, volendo, nella letteratura e nella filmografia del doppio. Insomma, potrebbe terminare qui l’articolo, con un bel colpo: c’è il titolo, visto, si stampi!


Se non fosse che Arianna Meloni ormai è diventata un piccolo caso agostano, suo malgrado. Sul quale si sono esercitate tutte le categorie giornalistiche italiane (chigisti, retroscenisti, commentatori, giudiziaristi, coloristi e super firme) nelle ultime due settimane non proprio gravide di notizie migliori.

Mentre la sorella d’Italia stava trascorrendo la prima fase di vacanze in una masseria in Puglia con la sua larga famiglia un po’ queer – ora si trova nel nord della Sardegna con le figlie – è uscito un articolo del Giornale che dava la notizia della (presunta) intenzione dei magistrati di volerla indagare. Forse per traffico di influenze, come ha ipotizzato il direttore del quotidiano fondato da Indro Montanelli, Alessandro Sallusti.

La sorella premier l’ha difesa e ha denunciato un (presunto) cortocircuito fra giornali di sinistra (daje) e pm (aridaje) per accoppare la sorella e quindi danneggiare l’esecutivo. E’ stata evocata la storia trentennale di Silvio Berlusconi, sineddoche vivente anche ora che non c’è più. E quindi il complotto. Dato di cronaca. Qualsiasi inchiesta – finora – è stata smentita dalla Procura di Roma. Tuttavia, il meccanismo ormai si è messo in moto e i dibattiti tv idem: le opposizioni accusano le Meloni di fare esercizio di vittimismo, loro si difendono spiegando che c’è uno strano clima, che non va bene, che ci potrebbero essere problemi di agibilità politica. Giovannino Guareschi sul Candido la chiamava Fodria (Forze oscure della reazione in azione). Sarà davvero così?
 

Davvero lei, Arianna Meloni, si sente perseguitata da giornali e procure come il Cav.?

“Nessuno si paragona a un grande statista come Berlusconi. Va bene le accuse di mitomania che traspaiono dal racconto che si fa di me, ma pietà! Ho un senso della misura”. E allora? “La cosa che ha scritto Sallusti prendeva spunto dal libro e dalle dichiarazioni di Luca Palamara, già membro del Csm, su un metodo che evidentemente esisteva, e non so se esista ancora. Speriamo di no, certo. E poi figuriamoci, provo a dirlo bene: lungi da me attaccare la magistratura. L’attacco semmai è nei confronti di un certo giornalismo che mi tira in ballo di continuo descrivendomi alle prese da due anni con nomine e trame di potere. Questo mi avvilisce”.

Oneri e onori, viene da risponderle. Con il sospetto luciferino che il vittimismo sia comunque una strategia per uscire fuori dai radar e per inibire chi vuole occuparsi di “questi qua”, i potenti ai giorni nostri.

Arianna Meloni ripete fino alla noia di contare il giusto, di occuparsi solo della vita del partito, dei dipartimenti territoriali, di non mettere mai bocca sulle vicende che invece riguardano il governo. Figurarsi della Rai. Di non frequentare party mondani e di aver spesso rinunciato anche ad andare allo stadio. Poi chiosa: “Ovviamente faccio politica a Roma da una vita, conosco davvero tante persone da molto tempo, a destra, che è il mio mondo, come a sinistra”.

Bisogna coltivare il dubbio, ma registrare questa posizione che la responsabile del tesseramento e della segreteria politica di Fratelli d’Italia espone con foga mentre – si percepisce dall’altra parte della cornetta – fuma con costanza e devozione una sigaretta dietro l’altra.


Allora in questo flusso di coscienza si può raccogliere a tal proposito qualche storia. Di quando una volta, di recente, è andata dal parrucchiere che, dandole di gomito come chi la sa lunga, le ha chiesto: “Allora, Aria’, che dice Stefano De Martino, eh?!”. La dirigente di FdI ricorda che all’inizio ha sgranato gli occhi, come chi viene stimolata all’improvviso da un input inaspettato sottopelle o come chi cade dal pero. “Peccato che io manco lo conosca De Martino, e se lo conoscessi comunque gli avrei al massimo proposto di presentare un panel a una kermesse di FdI!”. 


E poi c’è la nota vicenda di Giuseppina Di Foggia, manager di Terna. Un’altra in quota Arianna, per la vulgata giornalistica-politica. Anche qui la sorella della premier snocciola un aneddoto simpatico che registriamo: dice di averla incontrata due volte, Di Foggia. La prima, quando le hanno presentate, le ha fatto una battuta: ecco la mia migliore amica. La seconda, ai giardini del Quirinale per la festa della Repubblica, non l’aveva nemmeno riconosciuta e se l’è cavata, dopo un imbarazzo iniziale, dicendole: “Ah buonasera, tu sei la mia migliore amica!”. Non l’aveva riconosciuta, giura.


Questa conversazione con il Foglio ha punte di inconsapevole comicità, va detto. Ma anche di discreta allucinazione: Giorgia e Arianna hanno lo stesso timbro di voce, con tanto di risatina quando terminano un pensiero antipatico e vogliono uscire da una discussione in maniera agile. Solo che la sorella maggiore sottolinea un approccio personale alla vita politica con sfumature diverse rispetto alla premier, più abituata a stare sotto i riflettori, a prendere e menare fendenti. Ad attaccare, a dire “ci penso io”, lo sistemo io. Arianna si definisce timida, ma molto decisa e motivata. Vorrebbe occuparsi del partito, del tesseramento, dei territori in virtù del fatto che fa politica da 30 anni: “Penso di saper ascoltare le persone e di essere abbastanza obiettiva ed equilibrata. Mi infastidisco quando qualcuno racconta il mio pensiero e poi lo attribuisce a Giorgia: è un gioco che dura ormai da quasi due anni”.


Arianna Meloni racconta di essere rimasta molto colpita quando lo scorso maggio è andata a Viterbo per un comizio, accolta da un plotone di telecamere e giornalisti con la penna fra i denti. Ride: “Avevo una bella tachicardia”. In questo racconto che fa di sé, e che prendiamo con interesse ma senza adesioni, emerge lo spaccato di una donna che soffre il cambio di campo. L’essere passata, la metafora è sua, da giocare a calcetto nei campetti dell’oratorio alle partite in Champions League.


“Questo lo dice Arianna”. “Ho parlato con Arianna”. “Arianna ha detto sì”. “Arianna era furiosa”.  Tutte espressioni che, per chi frequenta il Parlamento e non solo, sono ormai consuete. Così come quando c’erano i tormentoni “ho sentito Beppe”, “ho visto Matteo”, “ho incontrato il Cav. e Gianniletta (tutto attaccato)”.


E qui un’altra risata del presunto oracolo di Delfi: “Ma io peccato che non sia il Verbo e che l’ottanta per cento delle dicerie siano favole che si autoalimentano”. 
Al massimo, si fa per dire, la dirigente di Fratelli d’Italia interviene sulle questioni locali, sugli amministratori, sui candidati da scegliere, sui problemi da risolvere o sulle iniziative da lanciare. Sempre, tiene a specificare perché la donna è scaltra come un gatto, d’amore e d’accordo con Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione, il primo corso a difenderla con tanto di video quando è uscito l’articolo del Giornale, la miccia della polemica.

Ecco a proposito la seconda notizia: Fratelli d’Italia è pronto a lanciare una scuola di formazione per i dirigenti. Una sorta di Frattocchie di destra. Se ne occuperà Fabio Rampelli, non un nome qualsiasi in questo racconto, che ha la delega dell’omonimo dipartimento. “Quello che in molti non vogliono capire è che al contrario di altre formazioni politiche noi non vogliamo lasciare sguarnito il partito e chiuderci nel palazzo, mossi solo dalle tantissime cose che ci sono da fare al governo. Siamo radicati, siamo presenti in tutti i comuni d’Italia, abbiamo una comunità forte e coesa e dunque una responsabilità. Lo scorso anno abbiamo celebrato una stagione congressuale. Posso occuparmi di questo invece di passare per traffichina e mitomane?”.

Ora, è difficile solo immaginare se non si indossa una sveglia al collo che le due sorelle, magari a pranzo la domenica davanti ai carciofi fritti, non parlino oltre che dei fatti loro anche di politica, governo, scenari. Insomma di cose importanti. Che non discutano e non si confrontino. E’ davvero difficile pensarlo. Come non c’è nulla di male nell’immaginare che una dirigente di punta del primo partito italiano possa dire la sua su nomine e dossier. Almeno come consiglio o riflessioni. Ma questo tasto non suona dalle parti di Arianna (“ancora? Non è così!”). Anzi, confida che le occasioni per stare in famiglia con un compagno (ormai ex) che fa il ministro e una sorella che fa la premier di un paese del G7 siano davvero pochissime. Rare e preziose come Gronchi rosa. Capita a Natale nel trambusto generale di parenti e al massimo quando stanno solo loro due con la mamma Anna Paratore. Figura centrale nel duplice percorso meloniano e quindi in questo romanzo popolare (d’altronde la signora Paratore ha una storia anche da scrittrice di romanzi rosa sotto il nom de plume Josie Bel). Un gineceo: la signora Anna, le figlie Giorgia e Arianna, le nipoti Vittoria, Rachele e Ginevra. La mamma d’Italia nei giorni scorsi ha scritto alla figlia un messaggio chiaro: di andare oltre, di non leggere i giornali perché, ci dice Arianna, “è preoccupata come lo sarebbe qualsiasi mamma”. Quella sì che sarebbe una grande intervista.


Però che storia, queste sorelle, che feuilleton. La maggiore che teme l’anello del potere, la minore che gira il mondo, costretta alla fine a occuparsi di tutto ciò che accade anche nel suo partito, che di fatto è anche la sua casa, la sua famiglia. Ma non è che alla fine stavano meglio quando stavano peggio, quando erano una forza di minoranza, snobbata dalla sinistra e dalla destra di governo che le dipingeva nel ghetto dell’irrilevanza politica o quasi? Non erano più uniti, facili e felici anche tanti rapporti personali? Chissà cosa pensa davvero Arianna, anche se la risposta che fornisce è suppergiù così: i rapporti sono rimasti forti e solidissimi con la nostra comunità proprio perché veniamo da lontano, mossi dalla passione e da una sana rabbia di cambiamento, abbiamo chiaro che questa stagione per noi è un punto di partenza e non di arrivo. La militanza. “Stiamo imparando a camminare su un ponte Tibetano, ma ovviamente non sulle acque. Tutti danno il massimo e per primi mia sorella e Lollo, le due persone che conosco meglio di tutti. Attaccati spesso con violenza incredibile, e penso proprio a Lollo, che invece sta facendo un lavoro straordinario”.


La sorella d’Italia finora non è mai andata in tv (unica apparizione nel 1995 ospite di un programma di Santoro, “Tempo reale”), ma forse prima o poi le toccherà. Da settembre inizierà a girare per la campagna elettorale delle regionali, dall’esito non proprio semplice. Il prossimo anno compirà 50 anni: come si immagina? “Continuerò a fare la militante di Fratelli d’Italia”. Fine della conversazione. Clic.

 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.