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No, l'Italia non è il paese più generoso nel concedere la cittadinanza agli stranieri

Lorenzo Borga

Meno di una su tre è stata rilasciata a migranti originari di paesi africani. La maggior parte è invece andata a persone provenienti da altri stati europei (l’Albania su tutti) e dell’America Latina

L’Italia si è improvvisamente scoperta il paese più generoso d’Europa per la concessione della cittadinanza agli stranieri. Almeno questa è la versione dei partiti, Lega in testa, che si oppongono a una riforma della cittadinanza.

L’algebra gli dà ragione. L’analisi dei dati no. Partiamo dai numeri crudi. Secondo Eurostat, l’Italia è il paese europeo che ha concesso più certificati di cittadinanza nel corso del 2022, ultimi dati disponibili. Quasi 214 mila rispetto ai 182 mila spagnoli, 167 mila tedeschi, 114 mila francesi. Allargando lo sguardo all’ultimo decennio la classifica rimane la medesima. Ma queste cifre, se indagate, ci raccontano anche dell’altro.

Prima di tutto domandiamoci a chi stiamo dando la cittadinanza. Nel caso italiano, meno di una su tre è stata rilasciata a migranti originari di paesi africani. In realtà la maggior parte è invece andata a persone provenienti da altri stati europei (l’Albania su tutti) e dell’America Latina. Situazione ben diversa dalla Francia – per esempio – che complice il suo passato coloniale destina più della metà dei suoi certificati a persone provenienti dal continente africano.

Perché chi è sbarcato in Italia con i barconi non sembra comparire, o quasi, nelle statistiche del rilascio della cittadinanza? La ragione sta nella stessa legge, risalente al 1992, che regola la materia. Gli extracomunitari maggiorenni per poter farne richiesta devono attendere almeno 10 anni, trascorsi interamente nel nostro paese. Chi è arrivato sulle nostre coste durante l’esplosione del fenomeno degli sbarchi a partire dal 2014 nella migliore delle ipotesi sta ancora aspettando. Nella peggiore ha già lasciato l’Italia o è ancora irregolare.

Ma una red flag ancora più rilevante grava su questi dati (e soprattutto sul modo di sbandierarli della destra). Questi numeri raccontano – badate bene – le acquisizioni di cittadinanza: vale a dire chi è nato cittadino di un paese A e nel corso della propria vita riceve la cittadinanza di un paese B. Non descrivono invece la condizione di chi con la doppia cittadinanza ci nasce: per esempio un figlio di una coppia di stranieri negli stati che prevedono lo ius soli temperato. Facciamo un esempio: i bambini di genitori stranieri in Germania ci nascono con la cittadinanza tedesca se almeno uno dei due vive nel paese da più di cinque anni. Questi bambini non compaiono nei numeri di Eurostat, dal momento che non si tratta di un rilascio di cittadinanza. Lo stesso avviene – secondo leggi nazionali parzialmente differenti – in Portogallo, in Irlanda e in Belgio. Più insomma la legge sulla cittadinanza è permissiva, meno questo si noterà dai dati.

Il dibattito sullo ius scholae fa riferimento ai minori nati in Italia da genitori stranieri. Su di loro dunque ci dobbiamo concentrare. Oggi devono attendere 18 anni per essere riconosciuti come italiani. Cosa fanno gli altri in Europa? Della Germania abbiamo già detto. In Francia i figli di stranieri possono ricevere la cittadinanza già a 13 anni se nati in territorio francese e vi risiedono dall’età di 8 anni. In Spagna per chi è nato da genitori stranieri è sufficiente restare per 365 giorni nel paese per richiedere la naturalizzazione. Regole più permissive di quelle italiane esistono anche in altri stati europei. Alla luce di questi fatti, e non di numeri decontestualizzati, come si può affermare che l’Italia sia il paese più permissivo in termini di concessioni di cittadinanze a minori?

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